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Formula 1, Keke Rosberg: “Ammiro Nico, ha una grande forza mentale”

Il padre del neocampione del mondo: ” Quando è entrato in Formula 1 gli ho dettato delle regole: doveva vincere una gara, trionfare a Montecarlo e diventare campione del mondo. Ora posso dire che mi ha dato retta” ha dichiarato.
A cura di Matteo Vana
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Ha preferito il silenzio, le luci delle ribalta spettavano a suo figlio. Keke Rosberg ha accompagnato le gesta di Nico da lontano, in silenzio, lasciando che il pilota della Mercedes se la sbrigasse da solo. La sua figura sarebbe stata troppo ingombrante, fin troppo semplice capire il perché: il confronto con un genitore già campione del mondo avrebbe potuto turbare l'equilibrio del figlio. Ha preferito soffrire lontano dalla pista, poi, una volta tagliato il traguardo, è piombato a festeggiare il titolo.

Nico Rosberg insieme al padre Keke - Getty Images
Nico Rosberg insieme al padre Keke – Getty Images

Anche nell'appuntamento finale di Yas Marina, quello in cui Nico Rosberg si giocava il mondiale contro l'avversario più forte in questo momento, quel Lewis Hamilton che già nel 2014 aveva prevalso, ha scelto di non esserci, arrivando solo all'ultimo momento.

Ne avevo parlato con Nico, gli avevo detto che non potevo venire perché non avrebbe funzionato. Non sapeva esattamente dove mi trovavo, ma sapeva che ero a Dubai. Se fossi stato sul circuito per tre giorni – sono state le sue parole riportate da Autosport – senza fare nulla non ci sarebbe stato un minuto di pace.

Tutti gli obiettivi sono stati raggiunti

Un successo figlio della forza mentale dimostrata da Rosberg, bravo a prendere subito il largo con il poker di inizio stagione e poi a piazzare la zampata vincente dopo un luglio da dimenticare in cui Hamilton si era rifatto sotto. Il guasto in Malesia ha sicuramente aiutato il tedesco, ma il titolo di campione del mondo non è frutto del caso.

Lo ammiro molto per la sua forza mentale e per il suo impegno – ha concluso –  non so come faccia. Negli ultimi tre anni è stato molto sotto pressione perché ha combattuto per la vittoria ogni fine settimane e per il campionato in ogni stagione. Quando è entrato in Formula 1 gli ho dettato delle regole: doveva vincere una gara, trionfare a Montecarlo e diventare campione del mondo. Ora posso dire che mi ha dato retta.

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