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GP Cina, Ferrari tra l’harakiri e l’impresa

Vettel rimonta due volte e chiude secondo, ma pesa il suo errore alla prima curva. Raikkonen, tamponato suo malgrado, arriva davanti a Hamilton, che però si è fermato 5 volte e gli sta dietro solo di 13 secondi. “La Ferrari è un bambino ribelle che sta crescendo” dice Marchionne.
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"Questa Ferrari è come bambino ribelle che sta crescendo" ha detto Sergio Marchionne. Una sintesi che più efficace non si può dopo una gara come quella di Shanghai, un gran premio dai mille colori in cui il rosso si è visto troppo poco in una domenica con meno argento del solito. "Ho parlato con Arrivabene" ha proseguito il presidente della FCA a caldo, "siamo soddisfatti da un lato, imbarazzati da un altro". Ragioni di soddisfazioni ci sono. Vettel, nonostante l'incidente alla prima curva, nonostante l'ala anteriore danneggiata nella prima rimonta, ha praticamente dovuto correre in rimonta tre gare in una e ha comunque chiuso secondo. Raikkonen, danneggiato alla partenza, è rimasto più costante, ha brillato sì per il sorpasso a Hamilton grazie alle mescole più performanti e si è preso un quinto posto che salva la faccia e nasconde le ombre, almeno un po'.

Harakiri Vettel – La gara di fatto si è decisa alla prima curva, e lo sa anche Vettel che a fine corsa si è scusato via radio con i tecnici ai box. "Si è fatto sorprendere da uno più inesperto di lui" ha spiegato Marchionne. Si è un po' troppo allargato e ha permesso a Kvyat di infilarsi nel poco spazio all'interno. Una manovra giusta, logica, lecita. "Certo è stata una mossa rischiosa, Seb ha ragione" ammette Kvyat, "ma alla fine sono sul podio, quindi è andata bene. Continuerò a fare mosse rischiose". Il russo ha visto la possibilità di prendere una posizione e ha cercato di sfruttarla. Anche il chiarimento a fine gara tra i due non ha alcuna coda rancorosa, il tedesco non fatica ad ammettere che la responsabilità di quel che succederà nei secondi successivi è sua e non certo del russo. Perché Vettel quando vede la sagoma della Red Bull all'interno sterza ancora, si allarga, e finisce per toccare Raikkonen, terzo e sfortunato incomodo, l'uomo più sbagliato nel posto e nel momento più sbagliati.

La doppia rimonta – Inizia una delle gare più strane, dal chiaroscuro caravaggesco, un pendolo che oscilla tra l'harakiri e l'impresa, tra la follia lucida e l'autodistruzione, Vettel inscena una rimonta d'altri tempi nella parte centrale di gara, ci mette cuore, foga e voglia di rivalsa, quasi a voler smentire quel che gli rimane dell'etichetta di tedesco fine calcolatore, pilota "da bilancino" come Formula 1 moderna vuole. Inscena una gara da Formula 1 d'altri tempi, di quelle che il motore va bene per attirare una fantasia da troppo parcheggiata. Fino all'incontro con un altro finlandese che rischia di diventare la brutta copia di se stesso, con la faccia da ballerino di fila e il rischio concreto di diventare il primo compagno di squadra a sfigurare davanti a Massa. Il sorpasso a Bottas è bello e dannato, sembra aprire orizzonti di gloria ma il diavolo si nasconde nei dettagli. E il dettaglio stavolta è la paratia laterale che si stacca dall'ala anteriore sinistra, già cambiata in regime di safety car dopo l'incidente alla prima curva. Era risalito da quindicesimo a quarto, quando si ferma ai box. Rientra dodicesimo, ha meno tempo e deve rifare tutto da capo. Ancora una volta.

Raikkonen, soddisfatto a metà – E ancora una volta si butta in ogni spazio, vive e muore per ogni centimetro in più, per ogni decimo da mangiare agli avversari. E' un Ettore che sa di non poter raggiungere l'Achille Rosberg ma almeno insegue e brucia Hamilton, campione del mondo con troppi guai per un weekend solo (cambio e power unit tra venerdì e sabato, fondo danneggiato oggi) e una tendenza per lui pericolosa a guardare oltre la Formula 1, alle mode, all'arte e, come ha raccontato alla RAI, al sogno di provare la moto di Valentino Rossi. C'è, nella gara di Vettel e nell'ammissione finale dell'addetto stampa Antonini, la consapevolezza di non avere i mezzi, non oggi, non ora, non così, di raggiungere Rosberg. C'è il segno di un'assenza, di un puzzle senza il suo pezzo finale, come quel podio, il numero 699 nella storia della Ferrari. Una cifra tonda possibile eppure ancora sfuggita, per quel quinto posto di Raikkonen, il più veloce di tutti con le gomme medie, che sa di mezza vittoria e di mezza sconfitta. Un bicchiere da guardare in due modi. Risultato di una condotta di gara mai arrendevole, la conferma che con questa macchina Iceman si trova davvero bene, che riesce a dosare particolarmente bene il consumo delle gomme. L'esito di una guida pulita sia sul dritto che nei tratti guidati, costante di tutto il weekend. Costante, come la sua corsa, senza gli acuti da applausi di un Ricciardo, senza cadute di stile. Eppure, di questa gara sotto il segno della scimmia, che per l'oroscopo cinese è sinonimo di apertura e innovazione, resta un dato, un'illusione, una luce a metà.

Cosa resta di Iceman – Iceman arriva sì quinto, chiude sì davanti a Hamilton e questo resterà nell'albo d'oro e peserà nella classifica mondiale. Ma riesce a mantenere solo tredici secondi da un avversario che si è fermato cinque volte ai box, che ha corso con il fondo danneggiato e con la macchina tutt'altro che al meglio. L'affermazione parziale di Iceman, dunque, più che soddisfare dovrebbe far riflettere, al limite preoccupare. Perché al netto delle strategie da stravolgere e di un gran premio che ne ha contenuti tanti, troppi, il sogno di una Ferrari davvero più vicina alle Mercedes ancora non c'è. E proprio l'esiguo vantaggio in condizioni che invece avrebbero dovuto giustificare un gap ben diverso e corposo, dà la misura del potenziale delle Frecce d'Argento. Dà l'idea di un passaggio di tempo in cui il Cavallino deve ancora inseguire. In cui le Frecce viaggiano ancora più veloci di tutti. Ma entrambe, mosse dalla forza della concorrenza reciproca, danno l'impressione di aver spinto un po' troppo o un po' troppo in fretta sulla strada dei miglioramenti, delle performance estreme. Anche a spese dell'affidabilità. In fondo, i bambini ribelli che crescono sono due. Peccato, però, che finora uno dei due vinca sempre.

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