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I campioni della F1: 5 cose da sapere su Phil Hill, l’americano di Maranello

Il pilota statunitense, campione del mondo nel 1961 con la Ferrari nel giorno in cui morì Wolfgang von Trips, suo compagno di squadra, visse per tutta la sua vita un rapporto complicato con il mondo delle gare: prima di ogni Gran Premio camminava avanti e indietro e lucidava in maniera ossessiva i propri occhiali.
A cura di Matteo Vana
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Phil Hill - Foto Bilsen, Joop van / Anefo / neg. stroken, 1945-1989, 2.24.01.05, item number 913-9469
Phil Hill – Foto Bilsen, Joop van / Anefo / neg. stroken, 1945-1989, 2.24.01.05, item number 913-9469

L'America non ha mai occupato un posto di rilievo nel mondo della Formula 1. Il sogno dei nuovi proprietari è quello di far sbarcare il circus anche oltreoceano, ma c'è stato un tempo in cui uno statunitense, ben prima del famoso Mario Andretti, riuscì a issarsi sul tetto del mondo diventando campione con la Ferrari, una delle scuderie più conosciute del mondo: quell'americano è Phil Hill.

L'incontro con Enzo Ferrari

Quello per le corse è un amore che sboccia presto, a nove anni Phil ha già un volante in mano, quella della Oldsmobile di famiglia. Ma Santa Monica, soprattutto negli anni '50, non è il posto ideale per l'automobilismo: Hill abbandona gli studi per diventare aiutante di un meccanico in un garage di Los Angeles e, con i primi soldi, acquista una MG-TC a due posti che lui stesso modifica. E' l'inizio della sua storia nel mondo delle corse. A scombussolare la sua vita, però, arriva la morte dei genitori. L'americano si trasferisce in Inghilterra dove viene impiegato come collaudatore della Jaguar, ma è nel 1954 che arriva la vera svolta: il 2° posto nella Carrera Panamericana, una delle competizioni più prestigiose dell'epoca, conquistato guidando una Ferrari 375 MM Vignale, lo fa balzare agli occhi di Enzo Ferrari che decide di ingaggiarlo per la 24 Ore di Le Mans.

A braccetto con la morte

Nonostante il boss della Ferrari pensi che il suo carattere introverso e sensibile non sia adatto al mondo delle corse, gli concede di sedersi su una delle sue vetture per dimostrare di che pasta è fatto. Il 1955, però, è l'annus horribilis dell'automobilismo; proprio in occasione della 24 Ore di Le Mans muoiono quasi 100 persone in quello che è il più grave incidente che il mondo delle quattro ruote ricordi. Hill ne esce profondamente scosso tanto che i fantasmi continueranno a tormentarlo per tutta la carriera. L'americano, come molti piloti dell'epoca, si troverà spesso a rapportarsi con eventi tragici. Proprio uno di questi gli spalanca le porte della Formula 1: nel 1958, a seguito di due incidenti, muoiono sia Luigi Musso che Peter Collins. Hill diventa il pilota titolare della scuderia Ferrari e aiuta Mike Hawthorn a laurearsi campione del mondo. Nello stesso anno arriva anche la grande gioia per la vittoria alle 24 Ore di Le Mans, successo che ripeterà poi anche nel 1961 e nel 1962.

Un rapporto odi et amo con le quattro ruote

Nonostante il sogno realizzato di correre in Formula 1, Hill non riuscì mai a godersi a pieno i suoi successi. Il suo rapporto con le corse è difficile da comprendere, un odi et amo che crea profondi turbamenti interiori all'americano tanto da spingerlo a dichiarare: "Le gare tirano fuori il peggio di me. Senza di loro non so che tipo di persona sarei, ma so soltanto che non sono sicuro che ciò che sono oggi mi piaccia. Le corse mi rendono irritabile, mi fanno mettere sulla difensiva e diventare scontroso. Sono diventato ipersensibile al pericolo. Se potessi lasciare questo sport lo farei". E l'attesa della gara è il momento peggiore per lui: prima di ogni Gran Premio camminava avanti e indietro, lucidava in maniera ossessiva i propri occhiali e fumava senza sosta. Ma una volta salito in macchina si trasformava: abile, preciso, veloce e particolarmente sensibile sul bagnato, caratteristica non facile da trovare per l'epoca.

Il campione triste

Un carattere introverso e solitario lo portano a vivere in un albergo vicino alla fabbrica della Ferrari e ad appassionarsi all'opera, al trekking e al ciclismo. I primi anni con la Rossa sono avari di soddisfazioni, solo nel 1960 riesce a conquistare la vittoria nel Gp d'Italia, a Monza, ma quel successo sarà il prologo al suo capolavoro. Nel 1961 l'americano mostra una regolarità impressionante: sempre a podio nei primi 3 appuntamenti della stagione con la vittoria in Belgio a rappresentare la ciliegina sulla torta. Una battuta a vuoto in Francia, poi ancora podio in Inghilterra e Germania. L'appuntamento decisivo è ancora una volta il Gp d'Italia dove Hill si ripete andando a vincere gara e titolo mondiale, il primo in carriera. Quella dell'americano, però, è una vittoria triste: in quella gara, infatti, muore Wolfgang von Trips, il suo compagno di squadra in Ferrari. Ancora una volta la morte lo tocca da vicino, rendendo complicato anche il momento più importante della sua carriera. "Non ho mai, in vita mia, sperimentato nulla di così profondamente triste" dirà parlando dell'episodio.

Il ritiro e la scomparsa

Dopo la conquista del titolo e la morte del suo compagno di squadra la carriera di Hill andò progressivamente spegnendosi: dopo un'altra stagione in Ferrari si trasferisce alla ATS, poi alla Cooper, prima di ritirarsi dal mondo delle corse nel 1964. Solo una volta appeso il casco al chiodo riuscì a riappacificarsi con le quattro ruote: "Le corse ti costringono a una sorta di confronto forzato con la realtà: un sacco di persone passano la vita in uno stato che non porta da nessuna parte. Ho avuto una vita molto eccitante -dichiarò – e imparato un sacco di cose su me e sugli altri. Col senno di poi ne valeva di pena". La sua vita, così piena e così complicata, finirà nel 2008 per colpa del morbo di Parkinson: termina così la storia dell'americano triste che riuscì a conquistare Maranello.

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