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Marco Simoncelli, dieci motivi per non dimenticare il Sic

A tre anni dalla scomparsa, il ricordo di Marco Simoncelli è vivo tra noi. E tra foto e filmati, è impossibile dimenticare il pilota guerriero e quel suo sorriso solare.
A cura di Valeria Aiello
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Come scriveva Valentino Rossi nel suo famoso tweet, Marco era dolce nella vita quanto duro in pista. E poco importava che si trattasse di una corsa, una partita a Risiko o una sfida sui kart: Marco Simoncelli era competitivo sempre, perché qualsiasi cosa faceva, doveva farla al massimo, perché doveva e voleva vincere. E quando non vinceva, si doveva fare un’altra partita.

Quella del Sic è una storia che non si può dimenticare perché il vuoto che ha lasciato in tutti noi vale molto più di un ricordo, di un pezzo scritto o di un giorno da dedicare alla sua memoria. Perché aveva solo 24 anni, perché era allegro e divertente, perché era profondo: troppi i motivi per non dimenticare quella testa riccioluta che resta viva nel cuore di un numero inaspettato di persone. D’altronde lui era uno che della semplicità e della gentilezza ne aveva fatto uno stile di vita. Ed è con quella immediatezza che mi permetto di ridurre in soli dieci punti i motivi per non dimenticare Marco Simoncelli.

1. Perché era uno puro

Marco Simoncelli era uno più puro della media. Lo si intuiva dalla spontaneità con cui reagiva agli imprevisti e alle polemiche: prima s’infuriava poi ci rifletteva. Ed era così anche con le sorprese… che di fatto lo sorprendevano sempre. Mai impostato e sempre leale, capace di semplicità e divertimento, di dare attenzione e un affetto enorme. Anche con chi lavorava con lui: “Aveva un bel modo di fare, gli veniva naturale essere sempre disponibile, era una specie di dote” racconta Maurizio Pasini, lo zio di Mattia, “l’ingegnere del vento” come lo chiamava il Sic.

2. Perché era uno che “diobò, ci provo”

Marco, la velocità, l’aveva nel sangue. Aveva cominciato a sgasare nei campi intorno a casa con una Suzuki 50 minicross regalatagli per Natale dai nonni. Poi le minimoto della famiglia Pasini, a nove anni la prima gara ufficiale di un campionato regionale, sino ai campionati italiani, vinti nel 1999 e nel 2000. Da lì, un crescendo: prima il Trofeo Honda e il campionato 125GP con il team Matteoni, poi nel 2002 l’europeo 125 e il debutto in classe 125cc, al GP della Repubblica Ceca, al posto di Jaroslav Hules, per le ultime cinque gare nel mondiale. L’anno successivo la prima stagione iridata, nel 2004 la prima pole e la prima vittoria in sella all’Aprilia 125, quando era in forze al team Caponera, sotto al diluvio universale. La sua capacità era quella di gestire al meglio la moto sul bagnato, confermandosi specialista della pioggia anche a Brno: tutto gli veniva tutto con facilità, e quando “Ho visto che mi veniva tutto abbastanza in scioltezza e ho detto, Dai, diobò, ci provo”.

3. Perché non può piovere tutte le domeniche

Dopo aver chiuso il 2004 tra alti e bassi, perdendo le due ultime gare per un infortunio, Simoncelli ci riprova nel 2005: per lui una vittoria e sei podi, e il quinto posto in classifica piloti a suggellare l’ultimo anno in 125cc. Nel 2006 passa al quarto di litro con il team Matis Gilera e nonostante le incomprensioni con la squadra e il capotecnico, Marco Simoncelli era lì, a un passo dai primi, decimo in classifica generale nel 2006 e 2007.

4. Perché “Tanto gas e poche pugnette!”

Nel 2008 la stagione partì male. Una moto non ufficiale e due zeri nelle prime due gare per via di due cadute. Ma al terzo round, in Portogallo, per Marco Simoncelli è pole e podio, e poi al Mugello, nel GP di casa, la prima vittoria nel quarto di litro. A metà stagione il Sic era in testa al campionato e la Gilera decide di affidargli la RSA ufficiale. Le cose si misero bene e con sette pole, sei vittorie e dodici podi, il pilota di Coriano si laureò Campione del Mondo classe 250 con una gara d’anticipo. Nonostante l’alloro iridato, il Sic l’anno successivo decise di rimanere nella classe di mezzo. Le premesse per bissare il successo del 2008 c’erano tutte ma a una settimana dall’inizio del campionato, si ruppe lo scafoide in allenamento. Saltò la prima gara e dal suo rientro a Motegi, tra guai tecnici o qualche caduta, vide sfumare il secondo titolo mondiale. Nel 2010 il grande salto in MotoGP, in sella alla Honda del team di Fausto Gresini. Ottavo in classifica generale e quarto posto come miglior risultato stagionale. Costantemente con i migliori, nel 2011, chiude secondo a Phillip Island, miglior risultato di carriera, una settimana prima della maledetta Sepang.

5. Per quella testa riccioluta

“La mia scelta di avere i capelli così è perché, secondo me, quando ce li avevo più corti facevo cagare”.

6. Perché aveva il 58

Non centra nulla con la data di nascita di mamma Rossella: il numero 58 è stato un caso. Un numero non scelto ma affibbiato a Simoncelli all’Europeo perché il 55 per cui Marco aveva optato era già occupato. Il primo numero ufficiale, con cui Marco è diventato Campione Europeo 125 nel 2002, un numero che da lì in avanti non ha mai più lasciato.

7. Perché arrivava sempre in ritardo

L’unico neo di Marco Simoncelli era la proverbiale lentezza. Il Sic era incapace di essere veloce e sintetico in qualsiasi impegno quotidiano. “Valentino ha un difetto, che arriva sempre in ritardo” diceva Marco, “Però anch’io…” chiosava in quel sorriso stralunato. Era capace di arrivare in ritardo sul ritardo e, quando aveva un appuntamento proprio con Rossi e si sentivano per telefono, al dove sei rispondeva: “Sono in ritardo, di un’ora sul ritardo!”.

8. Per il rapporto con il papà

“È un padre ed è un amico… un amico un po’ incazzato a volte” diceva Marco Simoncelli. Il Sic e il papà hanno avuto un rapporto speciale, che va oltre il legame tra padre e figlio, un’intesa reciproca. “Quando siamo alla gara alla fine ci muoviamo proprio in automatico, lui sa quello di cui ho bisogno e non c’è neanche bisogno che parliamo, ci capiamo sempre al volo”.

9. Perché “anche quest’anno alla Kate gli ho rinnovato il contratto”

Quello tra Marco Simoncelli e Kate Fretti era una storia iniziata nel 2006 fuori a una discoteca di Riccione e finita troppo presto, quando c’era una casa quasi pronta dove andare a vivere. Era una storia che, da quella prima volta alla boa, era crescita tra amore e moto, a metà. Il Sic non le aveva mai chiesto ufficialmente di fidanzarsi: fu un giorno a Valencia, quando la presentò al suo capotecnico, Rossano Brazzi a dire “Ah, lei è la mia morosa” mettendo il sigillo su un legame straordinario, proprio come la Kate, capace assecondare il Sic anche al sabato pomeriggio, quando lei lo raggiungeva per stare insieme e Marco andava a correre alla Cava, capace di ritornare a vivere, a sorridere e affrontare il dramma.

10. Perché quella del Sic è una storia che non può non continuare.

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