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DAKAR: Fabrizio Meoni, l’angelo del deserto

Sono passati undici anni dalla scomparsa di Meoni. Un pilota unico per capacità ed amore verso l’Africa.
A cura di Fabrizio Carrubba
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Dakar 2005: un’edizione strana per il rally raid. Si parte infatti da Barcellona per arrivare a Dakar, ma i percorsi in Africa sono sempre gli stessi ricchi di fascino. 11 gennaio, Mauritania. Si sta correndo la tappa da Atar a Kiffa ed un gruppetto di moto sta percorrendo a velocità sostenuta gli immensi spazi di questa terra d’Africa. Davanti a tutti c’è Fabrizio Meoni, uno di quelli che il gas lo sa dare, forte e ben dosato nel momento giusto. Alle sue spalle seguono poco staccati Marc Coma, David Fretignè e Isidre Esteve. Basta un niente e succede l’irreparabile. Sono le 10 e 15 minuti, al Km 184. In una nuvola di polvere Fabrizio Meoni cade e non si rialza più: sulla Mauritania cala il silenzio. Non si saprà mai il perché della caduta, se una distrazione, un ostacolo nascosto dalla polvere o altro. Quel che è certo è che Meoni muore sul colpo a causa della rottura di due vertebre cervicali. A nulla vale il tentativo di rianimarlo per 45 lunghissimi minuti. A fine tappa il bivacco è sconvolto ed il silenzio di Kiffa non è rotto per una volta dai frenetici rumori delle assistenze, ma dai singhiozzi e dal pianto di piloti ed amici, sconvolti per la perdita di un pilota che aveva sicuramente un qualcosa in più: generosità e disponibilità

Meoni, il cinghiale toscano

Fabrizio Meoni era un rallysta anomalo. Proveniente dall’enduro aveva attaccato il casco al chiodo forse troppo presto, dopo un titolo italiano nella 125. La scelta è dura per chi corre, ma per far fronte alle spese si dedica al lavoro aprendo una concessionaria. La passione però non muore e non appena le condizioni economiche lo permettono decide di riprende nelle competizioni. Ma con 30 anni diventa difficile misurarsi con i più giovani dell’enduro. Punta ai rally, come privato, mettendo in mostra quella determinazione e quella forza che gli avevano valso il soprannome di “Cinghiale”. Vince l’Incas Rally in Sud America, da Lima a Rio e poi nel 1992 il suo esordio, sempre da privato alla Dakar, che in quella occasione attraversava l’intero continente, da Parigi a Città del Capo, dove arriva dodicesimo. Due anni più tardi, sempre da privato, ottiene il terzo posto assoluto. Non è un caso, un pilota così ha delle doti che vanno sfruttate. Entra nell’orbita KTM e tra alti e bassi in un rapporto rocambolesco vince la sua prima Dakar nel 2001 ed offre anima e corpo per sviluppare la LC8 bicilindrica che gli regala la sua seconda vittoria nel 2002.

L’Africa nel cuore di un uomo generoso

Sono tantissimi gli episodi che hanno caratterizzato la carriera di Fabrizio Meoni, uomo generoso ma determinato, come la scuola toscana insegna. Impossibile non ricordarlo quando a causa di un ostacolo mal segnalato sul road-book spezza il telaio della sua Honda XR, come il sogno di proseguire per Dakar. Per l’intera speciale Meoni rimase sul posto, sotto il sole opprimente ed in mezzo alla polvere degli altri concorrenti a sbracciarsi con tutte le energie per segnalare quella buca. Oppure quando nell’edizione del 1998 arrivò al bivacco inferocito e con il casco danneggiato da una caduta imprecando contro il suo GPS e subito “canzonato” dai locali. Immancabili infine la pacca sul casco del suo amico Giovanni “Giò” Sala, con le due KTM lanciate a tutta velocità nel deserto, e il suo monologo mentre guida la sua fida KTM: “Vai moto, forza moto…non mi tradire”.

La solidarietà

Fabrizio Meoni amava l’Africa, fin dal primo momento in cui percorse i primi chilometri in sella ad una moto. Un rally lungo come la Dakar ti permette di attraversare ogni tipo di realtà e quella realtà a Fabrizio era entrata nel cuore. “…L’Africa mi ha dato tanto, è giusto che io restituisca qualcosa all’Africa per aiutare i più deboli” aveva detto una volta Meoni. Nel silenzio e senza il clamore della pubblicità Fabrizio donava parte dei sui premi per le vittorie e parte del guadagno del suo contratto da pilota per opere di solidarietà. Grazie a lui sono state costruite una scuola ed una biblioteca in una delle periferie più povere di Dakar, ma anche altre iniziative si sono concretizzate grazie a Meoni: una clinica mobile per offrire assistenza in luoghi difficilmente raggiungibili, una missione, un pozzo. Opere concrete che ancora oggi continuano a svilupparsi e a nascere grazie alla Onlus “Fondazione Fabrizio Meoni”

Il sogno spezzato e l’anima del deserto

Quella del 2005 doveva essere l’ultima Dakar per Fabrizio. Compiuti i 47 anni e scosso profondamente dalla morte dell’amico Richard Sainct, scomparso pochi mesi prima al Rally dei Faraoni, lo avevano convinto ad appendere il casco al chiodo per dedicarsi alla famiglia, la moglie Elena e i figli Gioele e Chiara. Il destino ha voluto che la sua ultima Dakar fosse veramente l’ultima. Dicono che i motociclisti spesso rischiano la vita inseguendo un sogno…il sogno di Fabrizio è stato spezzato, ma la sua anima e il suo cuore continuano a vivere negli immensi e silenziosi deserti della sua Africa.

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