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Dalla morte di Cevert al pasticcio Michelin, ecco la storia del Gp degli Stati Uniti

Dalla tragedia capitata al francese all’inferno di Dallas dove l’asfalto si sgretolò per il caldo. Quella americana è sempre stata una tappa imprevedibile, ma con una costante: Lewis Hamilton, campione del mondo nel 2015 e vincitore di 4 delle ultime 5 edizioni.
A cura di Matteo Vana
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La partenza del Gran Premio degli Stati Uniti 2005 - Getty images
La partenza del Gran Premio degli Stati Uniti 2005 – Getty images

La Formula 1 sbarca negli Stati Uniti e, per una volta, le spetta il ruolo di sorella minore, quella da sempre meno considerata, colei che viene invitata alla feste solo per avere la maggiore, la Indycar, la vera regina d'America. Eppure, quello degli Stati Uniti, è uno dei Gran Premi storici del circus corso fin dal 1959: una gara itinerante che ha spesso cambiato sede nel corso degli anni. Watkins Glen, Dallas, Detroit, Phoenix, Indianapolis, Austin – solo per citarne alcune – e in futuro magari Las Vegas, New York o Miami; una gara che cambia per rimanere sempre uguale, ricca di imprevisti e colpi di scena.

La morte di Cevert e il ritiro di Stewart

E' il 1973, la Formula 1 è di scena a Watking Glen, tracciato pieno di saliscendi che suscita nei piloti uno stadio di odi et amo difficile da spiegare anche per loro. Jackie Stewart è già campione del mondo per la terza volta in carriera e si appresta a tagliare il traguardo delle 100 gare prima del ritiro. Dietro di lui c'è un francese dalle basette folte e gli occhi azzurri, il suo nome è François Cevert ed è il compagno di squadra dello scozzese, il suo allievo pronto a ricalcarne le orme. Il futuro sembra suo, ma il Fato ha deciso per lui un altro destino: durante le qualifiche del sabato, infatti,  mentre passa ad oltre 250km/h sulle curve chiamate "Esses", la sua Tyrrell tocca le barriere una prima volta si gira e punta dal lato opposto dove si schianta. Cevert muore sul colpo. Stewart, uno degli ultimi ad accorrere sul luogo dell’incidente, è sotto choc tanto che, seguendo la decisione della Tyrrell di ritirare entrambe le macchine, il tre volte campione del mondo lasciando il mondo delle corse senza correre la sua centesima e ultima gara.

L'inferno di Dallas

L'edizione del 1984, che prende il nome dalla città che ospita il GP, è ricordata più per le condizioni climatiche che per lo spettacolo in pista: i 38 gradi e l'umidità del luglio texano sembrano condizioni impossibili per qualsiasi mezzo, l'asfalto che tocca i 66 gradi e comincia a sgretolarsi al passaggio delle monoposto di Formula 1 non fa che confermare l'impressione. L'organizzazione cerca di fare quel che può anticipando la partenza alle 11 del mattino invece che alle 14, ma è tutto inutile. Dopo pochi giri l'asfalto comincia a sgretolarsi e i piloti si ritrovano a guidare sulla ghiaia: le condizioni impossibili non favoriscono lo spettacolo tanto che, delle 25 vetture al via, solo 7 completano il Gran Premio. A vincere è Keke Rosberg davanti ad Arnoux e De Angelis. Il poleman Mansell, in sesta posizione e doppiato, rompe il cambio poco prima del traguardo e decide di spingere la sua Lotus nera, vestendo la sua tuta da gara nera, sotto il sole rovente di Dallas. Una mossa azzardata che lo sfinisce facendolo svenire dopo pochi metri. La Formula 1 non correrà più a Dallas e il motivo, dopo quell'edizione, è fin troppo chiaro.

Nigel Mansell - Getty images
Nigel Mansell – Getty images

Indianapolis e il pasticcio targato Michelin

"The show must go on" è una delle frasi che il popolo americano, soprattutto nel mondo dello spettacolo, sembra avere a cuore. La testimonianza è rappresentata dal 2005, anno in cui la Formula 1 cambia ancora sede spostandosi ad Indianapolis, sede di una delle corse più famose del mondo. Il tracciato, ricavato proprio nel catino, utilizza due curve e un rettilineo della Indycar, ma si gira in senso opposto. A far discutere, però, è soprattutto l'uscita della Toyota di Ralf Schumacher: la Michelin, che fornisce tutte le scuderie tranne 3, capisce che i suoi pneumatici non sono sicuri nell'affrontare le elevate velocità di Indianapolis e così tutte le scuderie decidono di ritarsi tranne Ferrari, Jordan e Minardi: va in scena così un Gran Premio con sole 6 vetture dove le Rosse dominano davanti alla Jordan di Monteiro.

Austin 2013, l'unico sigillo di Vettel

Ancora un cambio di sede per il Gran Premio degli Stati Uniti, stavolta si corre ad Austin. A prendersi il palcoscenico è Sebastian Vettel grazie soprattutto a una Red Bull che monopolizza la prima fila. E' l'anno d'oro del tedesco, quello che poi lo porterà a vincere il suo quarto e ultimo, per ora, campionato del mondo. Vettel parte in pole position e domina: al traguardo il 2° classificato, Romain Grosjean, può solo guardarlo da lontano. E' il primo – e unico – sigillo del pilota tedesco sulla pista americana, l'ottava vittoria consecutiva nel corso della stagione.

Sebastian Vettel sul podio di Austin nel 2013 - Getty images
Sebastian Vettel sul podio di Austin nel 2013 – Getty images

Hamilton e il titolo mondiale made in USA

Se c'è un nome, però, che più di tutti è legato alla psta di Austin è senza dubbio quello di Lewis Hamilton. Il pilota britannico è il vero padrone di casa negli Stati Uniti dove ha conquistato 4 delle ultime 5 edizioni; a rimanere impresso, però, è soprattutto il successo del 2015, quello che gli valse il suo terzo titolo mondiale. A rishciare di rovinare la festa ci si mettono la pioggia prima e Nico Rosberg poi che si prende la pole position al sabato. La domenica, però, Hamilton parte meglio lo affianca e con malizia lo accompagna verso l’esterno della pista; è il sorpasso che spiana la strada al campione britannico, primo sotto la bandiera a scacchi e campione del mondo. Una manovra che il pilota della Mercedes spera di ripetere anche domenica quando a lottare con lui ci sarà ancora una volta un tedesco, ma vestito di rosso.

Lewis Hamilton festeggia il titolo 2015 - Getty images
Lewis Hamilton festeggia il titolo 2015 – Getty images
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