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Dottor Costa: una vita al servizio del motociclismo

Intervista esclusiva al Dott. Claudio Marcello Costa, padre della Clinica Mobile, che ci racconta le emozioni di 37 anni da angelo custode dei piloti.
A cura di Fabrizio Carrubba
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Una lunga chiacchierata che libera il cuore e che apre la mente. Così si può riassumere il tempo che il Dottor Claudio Marcello Costa, fondatore e padre della Clinica Mobile, ha concesso in esclusiva a Motori Fanpage, raccontandoci il suo pensiero, ricordando le sue emozioni e guardando al futuro della sua Clinica con entusiasmo. L’entusiasmo di chi crede nel suo sogno e di chi è stato capace di trasformare il suo sogno in realtà: quella realtà, la Clinica Mobile, che ha permesso di salvare la vita a tantissimi piloti in 37 anni di esistenza e che continuerà in questa missione. Lasciamoci trasportare dalle parole dell’angelo custode dei piloti, immaginando i suoi occhi che si illuminano e si commuovono al ricordo di una vita vissuta al servizio del motociclismo.

Le corse stanno al Dottor Costa come il Dottor Costa sta al mondo delle corse. Dopo 37 anni di attività con la Clinica Mobile abbiamo assistito ad un importante passaggio di consegne ai suoi collaboratori. È stato un allontanamento sofferto quello dal fantastico mondo del motociclismo?

Porto il mondo del motociclismo sempre dentro il mio cuore e con quella che è la mia fantasia posso allontanare la nostalgia, perché con la fantasia riesco a rivivere tutte le imprese eroiche dei piloti, miei più cari amici.

La Clinica da quest’anno opererà senza la sua preziosa consulenza…

Mi sento costantemente legato per sempre a questo mondo, perché questo “per sempre” è quello delle favole. Umanamente, a volte viene fuori la nostalgia, un ritorno dolce ma nello stesso tempo molto doloroso perché è un qualcosa che io non posso più cambiare. Quella favola, oggi, non esiste più per me, perché la Clinica Mobile continua a operare con medici e specialisti che la stanno portano avanti indipendentemente dalla mia vecchiaia o dal fatto che io un giorno non ci sarò più.

Il futuro della Clinica Mobile è pertanto destinato a portare avanti il suo sogno. Come stanno lavorando i suoi successori?

Con la passione di un cuore giovane, la stessa che io avevo quando ho fatto la Clinica. Un’altra cosa molto bella è che viene aggiornata con i più moderni mezzi della tecnologia e della strumentazione medica. Questo perché i miei successori sono legati al Poliambulatorio Dalla Rosa Prati, che è un poliambulatorio di valore europeo, che sicuramente consentirà questo continuo aggiornamento. La Clinica continuerà pertanto in quella che è la sua storia: trasformare le ferite dei piloti in un dono.

Umanamente la Clinica Mobile si può considerare come una seconda casa per i piloti che vengono a cercare qui qualcosa di speciale?

La Clinica Mobile è sempre stata la casa dei piloti, ad eccezione dei primi anni, quando nei circuiti non esisteva praticamente l’assistenza medica. Avere una Clinica Mobile in pista voleva dire la possibilità per un ferito grave, o un ferito che stava lottando con la morte, di trovare la possibilità di vivere. Inizialmente era lo scoglio per un naufrago durante una terribile burrasca. Poi dopo è invece diventata realmente una casa, anzi, un altare. L’altare dove il pilota ha celebrato e celebra il rito magico di risorgere dalle ferite, dalle fratture, dalle malattie, per continuare a seguire i suoi sogni, anche se inseguendo i suoi sogni insegue anche il suo dramma. E questo ancora la Clinica Mobile lo sta facendo.

Il mondo del motociclismo quanto è cambiato in questi 37 anni in cui Lei è stato protagonista?

È chiaro che il mondo del motociclismo è cambiato. La ragione ha scavalcato il cancello dei sentimenti umani. Però nel momento in cui il pilota anche oggi va sulla linea della partenza e abbassa quella che è la visiera, allora la tuta diventa nera come quella di Tazio Nuvolari. E si mette a giocare quella partita che tutti noi giochiamo, e che dovremmo giocare, che è la partita a scacchi contro il rischio, il pericolo. la morte. Le cose più belle che l’uomo ha fatto nella sua vita le ha fatte perché ha sempre combattuto contro questa signora vestita di nero, che non deve essere considerata una nemica, ma solamente un’ avversaria. Nel dirLe cosa è la vittoria, credo che si possa immaginare un pilota che corre su una tenue linea d’asfalto che separa la vittoria dalla morte. Vincere sulla morte sarà un po’ come il profumo di ginestra ai pendii di un vulcano che avanzando ogni giorno porta la vita, prima che la lava del vulcano stesso la incenerisca.

In questa vittoria contro la morte quanto conta la paura per i piloti quando abbassano la visiera e rimangono soli sulla linea di partenza?

La paura è fondamentale. È un qualcosa che ci deve essere. Se la paura bussa alla porta e si va ad aprire, non si trova nessuno. Si trova solamente l’immagine, la figura del coraggio. La paura naturalmente e psicologicamente è qualcosa che ci segue per salvarci. Con questo sentimento nasce il coraggio. Nasce la speranza di farcela. La paura fondamentalmente è una condizione, una delle condizioni umane più belle.

Sicurezza nei circuiti. Monza è stata tolta dal calendario Superbike perché ritenuta troppo pericolosa  e presto si tornerà a correre a Misano, che dal 2010 ad oggi è stato teatro di terribili incidenti. Esiste un circuito più pericoloso di un altro o si tratta solo di tragica fatalità?

Credo che il lavoro sui circuiti sia stato fatto in una maniera encomiabile. Io faccio i complimenti a tutti coloro che hanno lavorato su questo tema, perché hanno allontanato il più possibile gli ostacoli oppure li hanno fatti scomparire. Il pilota che non incontra un ostacolo, anche se cade a 300 Km all’ora, molte volte si rialza illeso. Quindi sulla sicurezza dei tracciati è stato fatto moltissimo, ma ci si fa male a scendere per le scale, o se si scivola nel bagno di casa. Figuriamoci a 300 Km all’ora. Di certo la sicurezza assoluta non esiste. È chiaro che gli incidenti diventano gravi quando quegli ostacoli che noi abbiamo tolto dalle piste ritornano prepotentemente alla ribalta sotto forma di una moto che colpisce un pilota, come è successo per Simoncelli, Antonelli, Romboni, Cassani, Tomizawa. Mentre Kato è l’ultimo martire di un ostacolo a bordo pista, ostacoli ben protetti ma terribili del circuito di Suzuka, tutti gli altri che abbiamo ricordato sono tragicamente scomparsi perché l’ostacolo l’hanno trovato dentro la pista sotto forma della stessa moto, anche se gli ostacoli erano stati rimossi.

Il motociclismo è uno sport inteso come sviluppo tecnologico del mezzo meccanico, ma anche il corpo umano del pilota è una splendida macchina. Molta gente grida allo scandalo per i tempi di recupero in caso di infortunio che stanno diventando sempre più brevi. Lei crede che siamo arrivati ad un limite?

Ci sarà sempre una madre che cercherà di accarezzare il bimbo ferito, di medicarlo e di metterlo in condizione di tornare a giocare e di tornare a fare quello che gli ha procurato la ferita. Ma può anche succedere che ci sia una madre che medica il bambino, lo accarezza, perché è il suo compito, intendendo in quella carezza la cura, come metterlo a letto o proteggerlo, per esempio. La vita è una contraddizione, perché noi nasciamo per morire, ed ogni cosa nella vita ha una sua contraddizione. Nel mondo del motociclismo ci sono due mamme: una che protegge, ed una che esalta l’ebrezza del sogno e forse anche l’ebrezza dell’eccesso. Io faccio parte, per una mia storia, a questa seconda mamma, cioè a questa mamma che dopo aver medicato ed accarezzato il suo bambino, pur con le lacrime agli occhi, lo lascia continuare a giocare ed ad inseguire il suo sogno e forse anche la sua tragedia.

Cosa farà adesso Dottor Costa? Si occuperà ancora della Clinica Mobile da esterno oppure ci sono altri progetti?

Ora faccio il nonno. E cercherò forse di scrivere un altro libro.

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