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A Mirafiori 1.115 auto al giorno tra Punto, Alfa Romeo e Lancia. Quale domani?

Il referendum di Mirafiori si concluderà domani: al termine dello scrutinio si conoscerà il futuro degli operai e della rappresentanza sindacale all’interno della Fiat.
A cura di Danilo Massa
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Essenziale l'esito del referendum di Mirafiori: con un no si sposta la produzione

Il contratto di Mirafiori, la produzione di auto, problemi macro-politici ed istituzionali: nel referendum della Fiat che si chiuderà alle 18.45 di domani, 14 gennaio 2011, c'è praticamente tutto. Una questione di tale delicatezza, che necessariamente coinvolge il mondo politico. Silvio Berlusconi è intervenuto nella serata di ieri, affermando che se il responso dello scrutinio dovesse essere un no, vi sarebbero "buoni motivi per lasciare l'Italia". Parole che, nonostante presentino una nota intenzione – lo stesso Marchionne aveva precisato che "se vince il no con il 51% la Fiat non farà l’investimento" – hanno un particolare peso politico, dal momento che collocano il governo al fianco dell'Ad del Lingotto, dopo mesi in cui la posizione della maggioranza (ma anche dell'opposizione) si era mossa soprattutto in una logica di mediazione.

Sempre ieri era intervenuto sulla Fiat Mirafiori anche il leader di Sinistra, Ecologia e Libertà, Nichi Vendola, che nel commentare il referendum aveva invitato a "mettersi nei panni di chi guadagna 1.000-1.300 euro al mese, di chi magari ha tre figli, di chi si alza alle 4 alla mattina", concludendo infine con un giudizio netto: "un referendum come questo è una porcata perché significa votare tra la sopravvivenza e l'essere buttati per strada. Se ti chiedono di scegliere tra cadere per terra con il paracadute oppure senza, è chiaro che scegli di cadere con il paracadute". Intanto anche Bersani diventa oggetto di critiche, quando Bertinotti nota che "Il Pd interviene sempre in maniera politicistica. Si domanda solo se una posizione può essere apprezzata o meno dal Terzo polo, un atteggiamento tattico che guarda solo al consenso". Indi la conclusione dell'ex segretario di Rifondazione: "Meno male che la Fiom c'è".

Da qui anche la ripercussione che la vicenda Mirafiori ha sul tessuto sindacale, mentre salgono da Pomigliano le tute blu in appoggio dei colleghi di Torino. Le diverse posizioni assunte nei confronti del contratto sembra aver compiuto la rottura della "Triplice", con Uil e Cisl orientate all'accordo e Cgil contraria. Una ulteriore diversificazione va fatta all'interno dello stesso Confederazione Generale, laddove la Fiom rappresenta la parte più radicalmente avversa al nuovo contratto, mentre il segretario generale aveva suggerito la "firma tecnica", ovvero accettare il referendum e l'esito del voto per continuare a garantire la rappresentanza della Cgil. Landini (Fiom) ha invece precisato che "Non firmeremo mai questo accordo, non apporremo nemmeno nessuna firma tecnica, perché le firme tecniche semplicemente non esistono".

Ma a parte il dato politico, vi è anche e soprattutto quello sociale. Le parole del premier, infatti, ripropongono quello schema più volte sottoposto ai popoli negli utili anni e che è sostanzialmente l'aut aut della globalizzazione: se non conviene, si produce altrove. Una eventualità che avrebbe certamente effetti drammatici sull'occupazione e che sposterebbe altrove la produzione di quelle 1.115 auto che la Fiat Mirafiori ha nel suo potenziale di produzione quotidiana. Dopo aver "ricollocato" all'estero la produzione di diverse vetture Fiat, nell'eventualità lontana della chiusura di Mirafiori si dovrebbe esaurire la commercializzazione di quelle auto su cui il Lingotto aveva puntato molto: Fiat Punto, Fiat Idea, Fiat Multipla, Alfa Romeo MiTo, Lancia Musa.

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