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I campioni della F1: 5 cose da sapere su Jody Scheckter, l’orso sudafricano

Il primo sudafricano a laurearsi campione del mondo, l’unico della storia Ferrari: dalle prime gare al 1973, anno che rischiò di mise fine alla carriera sportiva di Scheckter. Poi l’approdo alla Tyrrell e alla Wolf prima di coronare il sogno con la casa di Maranello.
A cura di Matteo Vana
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Jody Scheckter a Monza
Jody Scheckter a Monza

Ci sono stati spesso, in Formula 1, piloti che sembrava non avessere regole: spesso sopra le righe, fuori controllo ma con tanto talento. Un po' come il primo Romain Grosjean che nel campionato 2012 ne combinò di tutti i colori oppure come Max Verstappen, il baby fenomeno della Red Bull che quest'anno si è reso protagonista di vari episodi controversi. Ma se questi piloti oggi possono sembrare fin troppo aggressivi, c'è stato chi, negli anni '70, ha sconvolto il circus con le sue manovre.

Gli inizi e le prime squalifiche

Jody Scheckter nasce nel 1950 a Est London, in Sudafrica da genitori lituani di origine ebraica. Il padre aveva un concessionario, quasi scontato che il futuro del figlio sarebbe stato nel mondo delle auto: nessuno, però, avrebbe osato immaginare così tanto. Il suo stile irruento lo fa balzare agli onori delle cronache fin da piccolissimo tanto che all'inizio era quasi più le gare saltate per squalifica che quelle disputate. Con l'avanzare dell'età il piccolo Jody affina la sua tecnica, diventa più pacato e conquista una borsa di studio grazie alla vittoria nel campionato nazionale di Formula Ford del 1970. Il suo nome comincia a circolare nell'ambiente, la Formula 3 è il palcoscenico ideale, ma c'è un lato della personalità di Scheckter che spaventa: appena entra in macchina la sua aggressività prende il sopravvento, appena abbassata la visiera il sudafricano entra in modalità racing causando incidenti a raffica.

Il 1973, l'anno terribile

Nonostante questo la McLaren decide di offrirgli un'opportunità al Gp degli Stat Uniti del 1972, per poi riproporlo l'anno successivo in altre 5 Gran Premi. Se la prima apparizione era passata quasi in sordina, quello del '73 è un esordio con il botto: l'unico piazzamento arriva proprio nella gara di casa, in Sudafrica, poi sono dolori. In Francia il pilota McLaren la fa grossa andando a colpire il campione del mondo Emerson Fittipaldi, ma è a Silverstone, due settimane dopo, che riesce a fare ancora peggio: alla fine del primo giro, scattato molto bene da centro griglia, arriva lanciatissimo alla Woodcote, forse troppo. La McLaren si scompone, Jody prova a riprenderla ma va in testacoda, a 220 all’ora, tagliando la strada a tutto il gruppo che lo segue, sbatte contro il muretto dei box e rimbalza in mezzo alla corsia. L'incidente coinvolte 13 monoposto, di cui 8 gravemente danneggiate. Nel mucchio finisce anche la Surtees di Andrea De Adamich, che resta intrappolato, con le gambe spezzate, nel moncone della sua monoposto. La McLaren decide di metterlo fuori squadra fino al Gp del Canada, dove non si smentisce; Scheckter butta fuori pista Francois Cevert con la Tyrrell, ma il francese, giunto al limite della sopportazione e senza neanche togliersi il casco, decide di scagliarsi contro di lui picchiandolo.

Tyrrell e Wolf per crescere

Difficile, con queste premesse, rivederlo al via l'anno successivo, ma a puntare su di lui arriva la Tyrrell che, perso Cevert e ritiratosi Stewart, ricomincia con il sudafricano e il francese Patrick Depailler. Scheckter, però, è un pilota diverso: la cura di Ken Tyrrell ha fatto bene, i risultati cominciano ad arrivare. La prima vittoria al Gp di Svezia e quella a Silverstone più una serie di piazzamenti importanti gli valgono il terzo posto nel mondiale mentre l'anno dopo c'è solo la gioia in Sudafrica. Nel 1976 arriva un altro terzo posto mondiale e l'anno dopo Scheckter accetta la proposta della neonata Wolf. L'esordio è clamoroso: vittoria in Argentina, un'altra in Polonia alle quali vanno aggiunti i numerosi podi conquistati. A frenare la marcia del sudafricano, però, sono i numerosi ritiri che consegnano il mondiale a Niki Lauda con la Ferrari. Se la Wolf era stata la sorpresa della stagione 1977, nella successiva non riesce a ripetere l'exploit finendo con un misero 7° posto.

Il rapporto con Villenueve

Scheckter, nel paddock, è soprannominato "l'orso": irascibile, poco socievole, inaffidabile e scontroso. E rispondeva a monosillabi alle domande dei giornalisti digrignando i denti. In pista, poi, meglio lasciar perdere. E' con queste premesse che, nel 1979, il pilota sbarca a Maranello, pronto a fare coppia con Gilles Villenueve. Sono molti a scommettere che quel rapporto durerà poco e invece sarà uno dei segreti sul quale si costruirà la fortuna della Rossa. L'esordio non è dei più fortunati con la Brabham di Piquet che centra il sudafricano, poi in Brasile arrivano i primi punti iridati grazie al sesto posto ottenuto. Qualcosa sta cambiando, Villenueve vince sia in Sudafrica che a Long Beach, Scheckter sempre dietro. Il momento di gloria per il pilota della Rossa sta arrivando e si manifesta con l'accoppiata Belgio-Montecarlo che gli consente di superare il compagno di squadra e di portarsi in testa alla classifica. I due arrivano all'appuntamento decisivo di Monza appaiati, c'è da conquistare un mondiale e ricacciare indietro le Renault. Villenueve può ancora vincere il mondiale, Scheckter anche.

Jody Scheckter con la Ferrari - Getty Images
Jody Scheckter con la Ferrari – Getty Images

Il trionfo e l'abbandono

Tra i due si è instaurato un ottimo rapporto: scherzano, parlano, si confidano. Addirittura si spostano insieme per andare a Maranello, le loro gare sull'Autostrada dei Fiori sono leggenda. E' proprio a Monza che la loro amicizia raggiunge l'apice: il canadese parla con il sudafricano, poi con il team e decidono di giocare di squadra. In gara le Renault partono forte, ma Villeneuve è lì, la rottura di Arnoux facilita il suo lavoro, le due Ferrari arrivano al traguardo in trionfo: davanti a tutti c'è Scheckter, dietro di lui, come un'ombra, il canadese. Il campione conosciuto fino a quella stagione, l'orso, irascibile, scontroso, non c’è più; in Ferrari è stato conquistato dall’ambiente, dai tifosi, dal calore del pubblico italiano. Jody scherza e parla italiano, è disponibile e adesso è anche campione del mondo, grazie al sacrificio dell'amico Villeneuve. L'anno successivo il campione capace di conquistare tutto il popolo rosso non c'è più, Enzo Ferrari userà la parabola del campione per giustificare le sue prestazioni: ha vinto, ha raggiunto l'obiettivo di una vita, quella del 1980 è l'ultima stagione. Finisce così la storia dell'unico sudafricano capace di conquistare il titolo mondiale.

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