I campioni della Formula 1: 5 cose da sapere su Mike Hawthorn, il pilota con il farfallino
La Formula 1, soprattutto quella degli albori, è un mondo che ha come protagonisti prima ancora che le corse: uno di quei pochissimi sport in cui non valgono solo le vittorie, ma il modo in cui si ottengono, dove i numeri contano tantissimo, ma sono i personaggi, ancor prima delle loro imprese, a rimanere impressi. Mike Hawthorn è figlio di una Formula 1 che non c'è più, uno di quei piloti che, a distanza di oltre mezzo secolo, riesce ancora ad emozionare.
Gli esordi e l'approdo in Ferrari
Hawthorn nasce a Mexborough, Regno Unito, la patria dei motori soprattutto all'epoca. A 23 anni è già in Formula 1, a 24 guida per la Ferrari: un'ascesa rapida e fulminante, ad Enzo Ferrari bastano pochi attimi per lasciarsi travolgere dal suo modo di guidare. La sua grinta è feroce, il pilota inglese, in un tempo in cui la sicurezza è uno degli ultimi aspetti, non ha paura di nulla. In pista, poi, è un personaggio: mentre gli altri puntano sulla comodità, lui si presenta al via con il giubbino verde, la camicia e la cravatta a farfalla, abbigliamento che gli valse il soprannome di "pilota con il farfallino". La prima stagione con la Rossa non è entusiasmante, ma in Francia Hawthorn dimostra tutto il suo talento mettendosi alle spalle sia Fangio che Ascari e diventando così il più giovane vincitore di un Gran Premio.
Vivo per miracolo
Non aveva paura il giovane inglese, ma fu il destino a ricordargli che l'uomo non è immortale. Il primo segno arriva nel 1954, in quello che sembra essere l'anno giusto per il titolo: mentre sta provando la nuova Ferrari sul circuito di Siracusa l'inglese perde il controllo della sua vettura che si schianta prendendo fuoco. Tutti temono il peggio, ma lui ne esce miracolosamente illeso. Nonostante l'incidente a fine stagione sarà terzo nel mondiale. A frenare la sua corsa, però, arriva la morte del padre: Hawthorn accusa il colpo, l'unico gioia di quell'anno sarà la vittoria in Spagna. Una vita vissuta pericolosamente, a braccetto con la morte, che l'anno dopo torna a bussare alla sua porta.
La 24 Ore di Le Mans e l'incidente più grave della storia
E' il 1955 quando il britannico partecipa alla 24 Ore di Le Mans con la Jaguar: durante la corsa la sua D-Type sorpassa una Austin-Healey più lenta, prima di rientrare all'improvviso nei box sulla destra. Questa manovra costrinse la Austin-Healey a spostarsi a sinistra, dove sopraggiungeva con una velocità molto superiore la Mercedes guidata da Pierre Levegh. Questa urtò il retro della Austin-Healey, venne catapultata in alto e si schiantò nella folla, disintegrandosi ed uccidendo il pilota e 83 spettatori, oltre a ferirne 120. Hawthorn venne additato come il colpevole del più grave incidente mai avvenuto nel mondo delle corse e allontanato perché considerato un pericolo. Ci vuole ancora una volta Enzo Ferrari che scommette su di lui: nel 1957 l'inglese ritorna a Maranello.
Gioia e dolore
In Ferrari stringe amicizia con Peter Collins mentre con Musso non va d'accordo; colpa di un incidente di qualche tempo prima in cui l'italiano ebbe la peggio fratturandosi il bacino. Il terzo posto in Argentina, il secondo in Belgio e la vittoria in Francia permettono di sognare, il titolo sembra essere a portata di mano. L'inglese affronta ogni gara con il suo sorriso, come fosse l'ultima. Al Nurburgring, però, la morte presenta ancora una volta il conto, toccandolo da vicino. Sul circuito tedesco è il suo grande amico Collins a perdere la vita, il sorriso di Hawthorn sparisce per sempre. Non basterà neanche la vittoria del titolo, arrivata a fine anno grazie al secondo posto di Casablanca, a restituirglielo. Proprio nell'ultimo GP della stagione, quello che lo consegna alla storia, arriva la decisione di abbandonare: a fargliela prendere l'incidente che coinvolse l'americano Stuart Lewis-Evans, ma è impossibile pensare che non c'entri anche la scomparsa dell'amico.
Nessuno sfugge al proprio destino
Si ritira da campione del mondo, appende il casco al chiodo quando ha appena 29 anni. Nessuno, però, sfugge al proprio destino, stavolta il Fato è beffardo. Quattro anni dopo quel 1955 maledetto, è ancora una volta la Jaguar a segnare il suo destino: dopo neanche due mesi dall'abbandono alle corse Hawthorn sta percorrendo la tangenziale di Guildford. Forse è impegnato in una gara con Rob Walker, l'unico testimone della tragedia, forse no: poco importa alla fine dei conti. Ciò che rimane nella storia è lo schianto, causato dall'eccessiva velocità e da quella voglia di divorare il mondo che da sempre aveva contraddistinto il pilota britannico. Finisce così la breve ma intensa storia di Mike Hawthorn: una fine tragica, struggente che consegna alla memoria immagini in bianco e nero, ma senza tempo. Un grande classico che resiste agli anni diventando storia, proprio come quel farfallino che lo ha reso immortale.