Il ricordo dei campioni scomparsi
Lo spettacolo deve continuare. Il mondo dei motori non si ferma e continuerà ad andare avanti nonostante una nuova perdita. Andrea Antonelli si aggiunge oggi ad una lunga lista di eroi, di piloti, di uomini, innanzi tutto, che hanno pagato a caro prezzo la loro passione. Oggi la morte di un pilota fa notizia perché la si vive direttamente, di fronte agli schermi di una tv, dietro al tam-tam di notizie che si rincorrono nel web e perché oggi questo sport è entrato di diritto nel cuore di tantissimi appassionati. Ma il passato lascia segni drammatici, dove si correva in circuiti privi di qualsiasi protezione o via di fuga, con abbigliamento improvvisato e senza assistenza medica pronta e tecnologicamente attrezzata per ogni evenienza.
La mente corre indietro nel tempo per scovare nomi dimenticati o sconosciuti, come gli italiani Dario Ambrosini, Gianni Leoni, Sante Geminiani, Ercole Frigerio. E ancora Roberto Colombo ed Adolfo Covi che pagaro pegno negli albori del motociclismo degli anni '50, dove le notizie non circolavano e la scomparsa di un pilota era la prassi di una qualsiasi domenica di gara. Negli anni '70 il motociclismo italiano pagò un altro duro conto alla crescita di questo sport. Furono altri cinque piloti a perdere la vita durante gare titolate. I più ricordati, perché già amati dalla folla che all'epoca iniziava a seguire con grande entusiasmo le corse, sono sicuramente Gilberto Parlotti e Renzo Pasolini, scomparso quest'ultimo nel drammatico incidente di Monza del 20 maggio 1973, insieme all'altro campione nascente, lo svedese Jarno Saarinen. Parlotti, invece, grande amico di Giacomo Agostini, fu artefice indirettamente della prima protesta di un pilota sul tema della sicurezza. Agostini infatti, scosso profondamente dalla morte dell'amico, rinunciò fino al termine della carriera di correre al Tourist Trophy, luogo dell'incidente, in quanto troppo pericoloso. La protesta che ne seguì porto alla cancellazione della gara dai successivi calendari mondiali.
Si arriva poi agli anni della grande visibilità mediatica, con i terribili incidenti di Daijiro Kato, di Shoya Tomizawa ed infine a quello del nostro Marco Simoncelli, in quel tragico 23 ottobre 2011. Proprio l'incidente occorso ad Antonelli riprende tante analogie con l'impatto subito da Simoncelli. Le lesioni riportate a seguito dell'urto con la moto che seguiva sono simili: trauma alla base del collo e al cranio. La strada della sicurezza è ancora lunga e c'è molto da lavorare non solo sulle infrastrutture che accolgono la gara e sulla protezione dei piloti, ma spesso anche lavorando sul buon senso e sulla necessità di correre o meno una gara a fronte di condizioni meteo avverse.
Come Simoncelli, anche Antonelli perde la sua corsa nel mezzo della sua carriera. Strade diverse e carriere diverse, quella di Simoncelli legata ai prototipi e quella di Antonelli alle derivate di serie, ma con tanta voglia di arrivare e soprattutto con la capacità di farsi amare dal pubblico e dal paddock, dove lasceranno un vuoto profondo.