Il mercato dell’auto torna indietro di quaranta anni
Mercato dell'usato – I dati del mercato dell'usato sono rappresentativi della crisi italiana, dal momento che nel confronto dei primi dieci mesi del 2013 rispetto a quelli del 2012 si registra un aumento delle vendite dell'usato del +0,59% (3.446.888 esemplari contro 3.426.613). Una crescita poco incisiva che comunque dimostra lo stato di emergenza di famiglie che in passato avrebbero acquistato un auto nuovo e che oggi ripiegano sull'usato. Ciononostante, ottobre 2013 rispetto allo stesso mese del 2012 conta 397.772 trasferimenti di proprietà di mezzi di trasporto contro 407.005. Insomma, -2,27%. A descrivere l'interno parco auto italiano come vecchio ci pensano ancora una volta i numeri: ad ottobre i trasferimenti di proprietà delle vetture hanno interessato per il 21,79% mezzi nuovi, vecchi per il 78,21%.
Fiat – Il crollo della domanda impatta direttamente su chi, in Italia, vende tradizionalmente più di tutti: la Fiat. La quota di mercato del Lingotto è cresciuta rispetto al precedente anno, ma, nonostante rappresenti il 21,4% delle auto circolanti, Fiat Group ha immatricolato l'8,7% in meno rispetto ad ottobre 2012 (31.173 esemplari contro 34.142) e il 10,3% in meno nel confronto gennaio-ottobre sui due anni. A conferma della tenuta della quota di mercato basti guardare la classifica delle dieci auto più vendute in Italia, di cui ben cinque sono di casa Fiat: Panda, Punto, Ypsilon, 500 e 500L. Tra l'altro, se Fiat perde, Jeep cresce dell'11%, anche se i volumi iniziali del marchio americano del Lingotto non sono certo tali da compensare gli effetti del crollo della domanda italiana. Assolve a questo scopo lo spostamento progressivo degli interessi di Fiat verso gli Usa, dove lo "stile italiano" suggestiona ancora e porta numeri importanti nei conti della Fiat.
Federauto, l'associazione che rappresenta le case automobilistiche attive sul mercato italiano, ha ribadito ancora una volta gli effetti della pressione fiscale, su cui Filippo Pavan Bernacchi, presidente della federazione, muove un'accusa precisa: "ormai è dimostrato che ogniqualvolta lo Stato aumenta le tasse incassa sempre meno. Questo perché si contrae la domanda e i fatturati diminuiscono ingenerando un circolo vizioso che fa bruciare centinaia di migliaia di posti di lavoro". E se gli effetti della disoccupazione sui conti dello stato già basterebbero a fare valutazioni differenti, la riduzione delle vendite incide sulle entrate pubbliche in maniera diretta attraverso l'Iva. Osserva infatti Bernacchi che:
Il 2013 chiuderà presumibilmente attorno a 1.280.000 pezzi, registrando un -8% rispetto al 2012. Ma questo dato non rende giustizia alla realtà delle cose. Il mercato italiano dovrebbe esprimere circa 2.000.000 di pezzi. Mancano quindi all'appello 720.000 immatricolazioni rispetto alla media degli ultimi 5 anni. In altri termini stiamo performando il -35% rispetto a quanto la filiera, che dà lavoro a 1.200.000 persone, necessita per sopravvivere. Ma il paradosso è che lo Stato sta perdendo circa 3 miliardi tra Iva e altre imposte.