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MotoGp, Dovizioso: “Io amico di Rossi? Avrei voluto, ma non è successo”

Il forlivese della Ducati parla del suo rapporto con il Dottore: “Non ho mai avuto la possibilità di frequentarlo veramente, ma credo sia su un altro livello, una rockstar che vive senza tirarsela”.
A cura di Valeria Aiello
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Dovizioso e Rossi sul podio del Qatar / Getty Images
Dovizioso e Rossi sul podio del Qatar / Getty Images

Ci sono voluti dieci anni, in un processo iniziato nel 2008, quando sbarcò in MotoGP pieno di speranze e il titolo 125 in tasca, per arrivare dove ha sempre desiderato, affermarsi tra i big in lotta per il mondiale: Andrea Dovizioso, classe 1986, si racconta nella sua autobiografia ‘Asfalto’, un libro edito da Mondadori di cui è lo stesso Dovizioso a spiegare il motivo della scelta del nome. “’Te, Dovi, sei del colore dell’asfalto’mi ha detto una volta Luca Cadalora – ex pilota tre volte campione del mondo, ndr. – Aveva ragione, la gente non mi vedeva proprio”. Dovizioso parla di sé dalle prime curve fino ai duelli con Marc Marquez, del ragazzo introverso diventato un pilota vincente con un solo saldissimo principio: essere se stesso. Anche se restare normali, in un ambiente dove se non si è un Valentino Rossi, può voler dire diventare invisibili “tipo quelli che a una festa sfumano nella tappezzeria”.

Il rapporto con Valentino

In particolare, Dovizioso ha dedicato un’attenta analisi al suo rapporto con il Dottore. “Poi ci sono le relazioni che avrei voluto avere e non ho mai avuto. Tipo quella con Valentino. Io sono di sette anni più giovane e quando sono arrivato in MotoGp lui aveva già vinto sette Mondiali, perciò è inevitabilmente un idolo, il punto di riferimento assoluto. Nonostante non abbia mai avuto la possibilità di frequentarlo veramente, penso si tratti di una persona per molti aspetti di un altro livello. Ha condizionato in positivo il Motomondiale. Ha insegnato a essere più spensierati anche pensando ai risultati. Ha dimostrato che si può vivere di colori. Di adesivi. Di personalizzazioni divertenti. A modo suo, con le sue regole, ha mostrato come si vive da rockstar senza tirarsela come una rockstar”. Carriere parallele, attraverso le quali scoprire qualcosa di nuovo anche di sé: “Io stesso, in principio, non capivo perché attirasse così tante attenzioni. Perché Valentino che arriva decimo conta più di chi ha vinto? Ma partivo da un presupposto sbagliato. Se sei unico, è ovvio che deve andare così. Lo si può amare o odiare, ma Valentino ha avuto il merito di attirare gente che non sapeva nemmeno quante ruote avesse una moto. È l’anomalo che periodicamente viene fuori nello sport. Alberto Tomba, Michael Jordan, Usain Bolt. Questa è la storia, e non si può discutere”.

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