MotoGP, i 5 migliori momenti della stagione 2018
Marc Marquez, Andrea Dovizioso e Valentino Rossi: un podio, quello del 2018, che per il terzo anno di fila ha visto salire sul gradino più alto il pilota spagnolo, dominatore di una stagione in cui ha dato l’idea di correre, più che contro gli avversari, contro se stesso, per continuare a riscrivere numeri e record del motociclismo. Del resto, la sua vittoria è finita per non essere più in dubbio con largo anticipo, tra errori dei rivali e la netta superiorità mostrata dal campione di Cervera nonostante una Honda che quest’anno non sempre si è dimostrata la migliore moto in griglia. Marquez ci ha messo tanto del suo per non mancare l’appuntamento con la storia ed è proprio dal suo indiscusso dominio che vediamo insieme quali sono stati i cinque migliori momenti di quest’ultimo mondiale.
Marquez, livello 7 raggiunto
Sette volte campione del mondo, cinque in MotoGP, a 25 anni e 246 giorni: per il terzo anno di fila Marc Marquez ha confermato di essere il numero uno al mondo, chiudendo aritmeticamente in Giappone, con tre gare di anticipo, la partita iridata. Con nove vittorie in 19 round in calendario, Marquez è stato il pilota che ha vinto più Gp nella stagione conclusa oltre ad aver ottenuto il maggior numero di podi, quattordici, e sette pole position con cui ha esteso il suo primato a 80 pole in carriera. Il più giovane campione del mondo e il più giovane cinque volte iridato in MotoGP – un anno più giovane rispetto a Valentino Rossi quando vinse il suo quinto titolo in top class – Marquez è l’ottavo pilota della storia a raggiungere, come recitava la t-shirt celebrativa, il “livello 7”, frantumando anche il record di precocità di Mike Hailwood ed eguagliando i sette mondiali in carriera di John Surtess e Phil Read. Davanti allo spagnolo restano solo Carlo Ubbiali, Mike Hailwood e Valentino Rossi, tutti a quota nove mondiali, oltre al 12 + 1 volte campione del mondo Angel Nieto e il quindici volte iridato Giacomo Agostini.
La prima vittoria di Lorenzo con la Ducati
Una vittoria dai tanti significati quella di Jorge Lorenzo al Mugello, primo trionfo in sella alla Ducati e primo successo battendo il compagno di squadra Andrea Dovizioso, ma arrivato quando il suo futuro a Borgo Panigale era ormai segnato. Prima vittoria dopo 24 gare di astinenza davanti all’ex compagno di squadra Valentino Rossi che, sul terzo gradino del podio, ha applaudito la sua grandissima prestazione ma, soprattutto, quella italiana è stata la prima gara con il nuovo serbatoio, la soluzione che il maiorchino chiedeva da mesi ma arrivata troppo tardi. “Se avessero creduto prima in me, magari adesso non direi che è già troppo tardi” aveva detto Lorenzo, escludendo l’ipotesi di un’offerta di rinnovo da parte della Ducati. “Il serbatoio che chiedevo da tanti mesi è arrivato qui e si è vista la consistenza, l’aggressività e la velocità, ma se lo avessi avuto sei mesi fa, i risultati sarebbero arrivati molto prima. Una delle cose più difficili è stata reinventarmi e cambiare il modo di fare le cose quando in molti credevano che non ce l’avrei fatta. Potevo essere io a sbagliarmi ma stavolta è stato il contrario”.
Vinales spezza il digiuno Yamaha
Ha perso il confronto interno con Valentino Rossi ma si è preso la soddisfazione di essere stato il pilota che ha riportato la Yamaha alla vittoria: quella del 2018 è stata la stagione più nera della storia della squadra di Iwata che, sul circuito di Phillip Island, in Australia, ha conquistato l’unica vittoria stagionale spezzando un digiuno durato 25 gare, il filotto di GP senza vittorie più lungo di sempre per la Yamaha. Un 25 scomodo che, casualmente, fino a questa stagione è stato anche il numero di gara di Vinales, visto che dal 2019 il ‘Top Gun’ catalano avrà il 12 sulla carena. “Avrò un nuovo motore, una nuova moto e una nuova vita – aveva ammesso quando gli era stato chiesto del perché di questo cambiamento – vedremo se mi poterà fortuna”. In ogni caso, la vittoria di Vinales è certamente “un risultato positivo per Maverick, per tutta la squadra e la Yamaha – aveva detto anche Rossi – sicuramente una grande iniezione di fiducia ma per il mondiale non cambia poi tanto”.
800 vittorie italiane
Nonostante l’ultimo campionato MotoGP non abbia portato troppe soddisfazioni ai piloti italiani, nel 2018 gli azzurri del Motomondiale hanno ritoccato uno dei record più significativi del motociclismo, quello del maggior numero di vittorie conquistate da piloti di una stessa nazione. Un contributo sostanzioso è arrivato dai piloti della Moto3 e della Moto2 che, in occasione del Gp di Thailandia, a Buriram, con le vittorie di Fabio Di Giannantonio in classe cadetta e di Francesco Bagnaia in quella intermedia, hanno permesso all’Italia di raggiungere la pietra miliare delle 800 vittorie nel mondiale e chiudere la stagione con un bottino complessivo di 804 successi tricolore. Staccate le altre nazioni, a partire dalla Spagna a quota 601 vittorie e la Gran Bretagna con 383 affermazioni.
Bagnaia campione del mondo Moto2
Guardando ai piloti italiani e ai migliori momenti del 2018, non può che essere quella scritta da Pecco Bagnaia la più bella pagina dell’ultimo mondiale: otto vittorie e altri quattro podi, incluso il terzo posto conquistato a Sepang, in Malesia, che gli ha assicurato la certezza aritmetica del titolo Moto2. Consacrazione di una stagione incredibile per il 21enne pilota dello Sky Racing team di Valentino Rossi che, nel giorno della prima vittoria in carriera del compagno di squadra Luca Marini, ha festeggiato con una gara di anticipo il suo primo alloro iridato, regalando al pesarese il bis di un suo pupillo un anno dopo il mondiale conquistato da Franco Morbidelli. Per Pecco il prossimo passo sarà il salto in MotoGP dove approderà nel team Ducati Pramac al posto di Danilo Petrucci, a sua volta promosso, con il passaggio di Lorenzo alla Honda, nel team ufficiale. “La Ducati mi voleva già nel 2018 – rivelava Bagnaia – Mi avevano già fatto la proposta di passare in MotoGP ma ho rifiutato perché ero convinto di dover dimostrare qualcosa in più e fare almeno due stagioni in Moto2. Il titolo era quello che volevo, l’obiettivo per cui ho lavorato dalla prima gara del 2013 ma, senza l’aiuto di Valentino, Uccio e tutto il team Sky che posso chiamare famiglia, non sarebbe stato possibile”.