Muro di Berlino, Trabant fa ancora tendenza dopo 20 anni
Ogni regime ha la sua automobile di rappresentanza, o comunque il suo mezzo di locomozione, dalla biga romana, alla bicicletta in Cina o alla più democratica Olanda, dalla Volkswagen del terzo Reicht, alla Trabant della Germania dell’Est. Ed è di quest’auto che si parlerà oggi, non perché Angela Merkel abbia deciso di ripristinare la macchina del popolo o di tirar su di nuovo il muro, e neanche perché è stata presentata una versione aggiornata all'ultimo salone di Francoforte,ma perché oggi è il ventesimo anniversario della caduta di suddetto muro.
Il muro che divideva il mondo in due, che divideva l’occidente capitalista e liberale, di chi si poteva permettere una Ford o una Renault, dall’oriente proletario e comunista, di chi poteva scegliersi la macchina ma che il più della volte sceglieva sempre e solo quella che il regime imponeva: la Trabant; l'ammazzaforeste.
La Trabant inizia la sua lunga e fortunata carriera, imposta dal Regime, negli anni ’50, in Sassonia dove viene prodotta dalla “VEB Sachsenring Automobilwerke”. Composta da una carrozzeria interamente prodotta in Duroplast, ovvero in resina rafforzata con lana o cotone, giusto per risparmiare il costo dell’importazione dell’acciaio, era spinta dalla forza di un motore a due tempi di 500 cc da 25 CV raffreddato ad aria, privo di valvole, albero a camme, cinghie dentate o catena di distribuzione e pompa dell’olio (da qui si capisce il nomignolo di "ammazzaforeste"), raggiungeva una velocità di punta di 112 Km/h, molto più della 500 che in quegli anni gli faceva inconsapevolmente concorrenza, perdendo anche nel paragone sulle prestazioni.
La parola Trabant, che adesso richiama ad uno status symbol più che al ricordo di una sofferenza popolare, tradotta sta per “compagno di viaggio”, termine assolutamente calzante visto che fu la prima cosa che i tedeschi dell’est presero per scappare via quando venti anni fa cadde il muro.