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Stoner smaschera Marquez: “Si sentiva minacciato dal mio lavoro”

L’asso australiano spiega il suo ritorno in Ducati dopo i cinque anni in Honda: “Non sarà la stessa cosa, in HRc qualcuno non voleva vedermi correre”.
A cura di Valeria Aiello
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da sinistra, Marc Marquez e Casey Stoner
da sinistra, Marc Marquez e Casey Stoner

Le indiscrezioni che volevano che il rientro di Casey Stoner in Ducati fosse stato spinto dal comportamento di Marc Marquez in Honda non erano troppo lontane da una realtà che, senza troppi giri di parole, è stato lo stesso Stoner a confermare in un’intervista concessa a Motosprint. Per l’asso australiano il ritorno a Borgo Panigale, per ora solo come tester e ambassador del brand, è arrivato dopo i cinque anni trascorsi in Honda e una difficile separazione dalla casa giapponese, con cui ha colto il secondo titolo iridato dopo quello del 2007 in Ducati, continuando a vestire i panni di collaudatore HRC a partire dal suo ritiro alle competizioni, nel 2012. Secondo Stoner, la Honda non avrebbe sfruttato al massimo il suo potenziale, oltre a negargli la possibilità di sostituire Pedrosa nei Gp che lo spagnolo fu costretto a saltare per recuperare dall’operazione al braccio destro, fino a trovarsi costretta a chiedergli scusa per il guasto tecnico della 8 ore di Suzuka.

Il lavoro in Ducati “non sarà la stessa cosa” assicura Stoner dopo aver spiegato che, per qualche motivo, a limitare il suo impiego nella factory giapponese sarebbe stato proprio Marquez, intimorito dal suo lavoro in Honda.

È una situazione diversa – dice Stoner – Alla Honda ero solo un tester occasionale, non ho mai avuto alcun altro ruolo. Se devo dire la verità, credo che non si siano mai avvantaggiati con il mio potenziale. Penso che Marquez ed il suo entourage si sentissero minacciati da me. Non so cosa pensasse realmente però, questa è una mia sensazione.

Nonostante tutto, Stoner ha tenuto a precisare che ha lasciato la Honda senza alcun rancore, specie per il vice presidente esecutivo Shuhei Nakamoto, messo alle strette dall’importanza di Marquez in Honda.

Ero alla Honda per fare qualche test, per provare nuove cose che poi avrebbero dovuto essere trasferite ai piloti ufficiali, quindi ero lì per aiutare Marc. Ma è anche vero che quello che devono seguire tutti è il pilota numero 1. In ogni caso non ho nessun rancore contro la Honda ed ho un grande rispetto per Nakamoto. La nostra relazione non si è deteriorata per questo e proseguirà bene

La wild card negata ad Austin non era andata proprio giù all’australiano che senza fare troppi nomi ha spiegato quanto accaduto in Honda durante i primi tre round del mondiale concluso.

Mi sentivo pronto per Austin – precisa – ma Nakamoto si è scusato e mi ha detto che si prendeva la responsabilità di optare per una soluzione diversa. A quel punto ho pensato che qualcuno gli avesse messo pressione per non farmi correre. Qualcuno non voleva vedermi correre

Sapevo di essere abbastanza veloce per provare a sostituire Pedrosa in maniera adeguata. Durante i test di Sepang, in febbraio, ho girato su un ritmo molto simile a quello della gara, quindi credo che sarei potuto rimanere con i leader. Sostanzialmente avevo il passo di Dani, che poi ha vinto la gara – ha concluso.

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