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2016, l’anno da incubo della Ferrari

Una macchina ma che non spicca sulle altre in nessun aspetto. Le troppe aspettative portano fretta, confusione e troppi cambi nella gestione tecnica. Cronaca di un anno da dimenticare.
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Un infinito tendere. Tra l'essere e il nulla. La stagione della Ferrari è un pendolo che oscilla fra la delusione e la noia, fra la speranza e la disillusione. Una stagione che, comunque finisca l'ultima recita di Abu Dhabi, comincia e di fatto finisce in Spagna. Nel giorno in cui Verstappen strappa a Vettel il primato di più giovane vincitore di un GP in F1, la Ferrari si illude di una possibile prima doppietta in sei anni, ma nonostante un ritmo superiore con le soft, la Red Bull mantiene un ritmo insostenibile nell'ultimo settore. È la prima e ultima volta finora in questo 2016 che due piloti del Cavallino compaiono contemporaneamente sul podio, complice l'harakiri delle due Mercedes al via.

Soliiti limiti – È un'epifania del tutto, o del nulla, che la Ferrari stringe dopo aver sognato, sperato e desiderato di essere migliore di quel che è, di andare oltre i propri limiti e finendo per portare la notte più in qua, indietro e non avanti. Migliorata rispetto all'anno scorso ma più indietro rispetto ai rivali attuali.

Difficile gestire le medie – Una Ferrari che già in Australia mostra gli stessi difetti mai risolti per tutto il resto dell'anno: un grande passo con le gomme più morbide, la difficoltà a gestire le medie e le dure nonostante la modifica delle sospensioni da pull rod a push rod proprio per migliorare l'efficienza con le mescole più dure e soprattutto di sfruttare al meglio le gomme sulle piste con temperature basse (a Melbourne, nella prima parte di gara, il distacco sul giro fra Raikkonen e Rosberg oscilla sempre fra uno e due secondi).

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Le prime speranze – Il distacco finale di Vettel, ridotto rispetto da Hamilton rispetto ai 34 secondi del 2015, sembra andare nella direzione dei proclami di Marchionne e Arrivabene alla vigilia del campionato. Ma lo spettacolo non ci sarà, la suspense sì ma nel segno sempre dell'incompletezza. In Bahrain, Raikkonen sale al quinto posto nella classifica dei podi all time con il meglio del repertorio.

Iceman ritrovato – Quest'anno sente la macchina, ha ritrovato le prestazioni, è più vicino a Vettel in qualifica, e lo batte in 11 occasioni, raramente sbaglia la strategia di gara. "I gran premi non si vincono sulla carta, si vincono se non si hanno problemi" ha detto Arrivabene. E di problemi, la Ferrari ne ha avuti fin troppi. A Sakhir è Vettel che rompe la turbina del motore prima del via: al Cavallino non succedeva dai tempi di Michael Schumacher a Magny Cours nel 1996.

Il rischio non paga – Per inseguire la Mercedes, la Ferrari si è presa dei rischi di progettazione che però ha pagando caro. Ha provato a redistribuire le parti per ottenere un retrotreno rastremato, estremo, stretto e un conseguente vantaggio competitivo rimasto solo sulla carta. “Una Ferrari ribelle” la definisce Marchionne dopo la doppia rimonta di Cina, dopo una gara a tratti folle scatenata però dall'errore alla prima curva di Vettel, che si fa infilare dal più inesperto Kvyat alla prima curva e finisce per tamponare l'incolpevole Raikkonen.

Dalla Russia senza furore – Iceman (nomen omen si direbbe) faticherà per tutta la stagione, vedi Sochi, a scaldare le gomme dopo l'intervento della safety car. In Russia, almeno gli riesce l'undercut ai box su Bottas, e se Hamilton non avesse passato Alonso all'interno del ventesimo giro nel rettilineo posteriore, il ferrarista avrebbe potuto addirittura soffiare la posizione anche al campione del mondo. Ma con le soft, che a Sochi sull'asfalto non troppo abrasivo non hanno dato segni di cedimento, il confronto con le Frecce d'argento rimane impietoso. Anche se, come si leggeva nei commenti su F1 Analisi Tecnica, la Ferrari tende a preservare energia elettrica a fine rettilineo per utilizzarne più del solito in trazione, il vero limite della Rossa.

L'errore in Canada – La tensione si comincia ad avvertire in Canada, quando il box ha richiamato Vettel, artefice di un delle migliori qualifiche in Ferrari, troppo presto, all'undicesimo giro, con una virtual safety car (VSC) annullata proprio mentre il tedesco stava entrando ai box. A volte, per vincere, è più difficile aspettare che far qualcosa subito. Il discrimine fra l'errore e la mossa vincente è sempre sottile, e comprendere il momento adatto per intervenire fa la differenza fra la vittoria e la sconfitta.

Il punto più basso – Ma il punto più basso arriva a Monaco. La Ferrari resta giù dal podio per la prima volta nel 2016, ma diventerà una triste abitudine. Raikkonen si è tirato fuori da solo, il lungo al tornante Loews ha danneggiato l'ala anteriore e la domenica del Cavallino, oltre a far passare castelli di rabbia all'orizzonte di Grosjean. Vettel ha rischiato più di altri, ha montato le medie quando ancora tutti giravano con le gomme da bagnato, poi le soft quando gli altri passavano alle super- o alle ultra-soft. Alla fine, le morbide negli ultimi giri andavano anche meglio delle più morbide, ma il tedesco non ha fatto i conti con un Perez in versione deluxe. È vero, il pilota ha fatto la differenza, ma quel pilota non guidava una Ferrari.

Troppe attese – Il Cavallino ha un pacchetto che non prevale sugli altri sotto nessun aspetto, eppure le aspettative gonfiate dalle roboanti affermazioni di Marchionne e Arrivabene sulla necessità di vincere il titolo trasformano la stagione in un orizzonte di tensione e di paura, tra l'addio di Allison e l'arrivo di Binotto come capo tecnico.

Paradosso – Dopo il Canada, il paradosso aumenta. La Ferrari migliora come prestazioni ma peggiora come risultati. In Ungheria solo Raikkonen (Vettel ha forse sbagliato a non copiarlo) sono stati gli unici a percorrere due terzi di gara con le gomme super-soft mentre i rivali andavano via con le morbide o con le medie. A Silverstone l'asfalto freddo condiziona ancora una delle peggiori prestazioni stagionali della Ferrari, con Vettel ancora una volta poco a suo agio sui curvoni veloci ma capace di rendere al meglio su tracciati scanditi da staccate e ripartenze. A Baku i tecnici trasformano una SF16H troppo carica, lenta e con poca trazione al venerdì, in una vettura che senza l'attraversamento di linea bianca di Raikkonen avrebbe riportato due vetture sul podio.

Il rebus Vettel – Vettel, che in Ungheria diventa il secondo nella storia a superare i 2mila punti in Formula 1, è entrato in una nuvola rossa di dubbi ma non di bellezza. Ha girato e rigirato, senza sapere dove andare, la Ferrari. Ha cambiato tanto, ma niente è cambiato davvero, nemmno alla ripresa a Spa, circuito dove la Ferrari ha scritto la storia. Ha puntato tutto sulle SuperSoft che, con le temperature record dell'asfalto per tutto il weekend si sono presto rivelato le peggiori, e rovinato la gara già alla prima curva con Raikkonen che lascia tanto, troppo spazio a Verstappen e Vettel sempre più nervoso. "Questo era uno di quei giorni in cui speravo tu fossi più veloce" gli dice Rosberg a Monza, a rendere amaro il retrogusto per il podio numero 706 nella storia del Cavallino.

Confusione e fretta – La confusione e la fretta crescono, la strategia però a Singapore si fa troppo conservativa dopo che Hamilton, terzo a 16 giri dalla fine e con i freni surriscaldati, monta le UltraSoft. Kimi ha le Soft, con cui Perez riesce a girare per 35 giri di fila, ma il team decide di non rischiare. Il resto è storia. Hamilton stampa il parziale record nel terzo settore, Raikkonen gli rientra dietro e non gli sarà mai abbastanza vicino da tentare l'attacco nel finale. E a qualcuno torna in mente Abu Dhabi 2010, la scelta sbagliata di anticipare la sosta di Alonso per marcare il concorrente diretto, Webber, che si ferma anche lui prima del previsto.

L'Asia, bandiera bianca – La stagione d'Asia diventa un viatico triste verso il 2017, verso una nuova transizione e un regolamento tecnico tutto diverso. È l'accettazione di un'inferiorità ormai palese, lampante, che costringe alle mosse estreme, a rischiare anche troppo e di conseguenza a sbagliare di più, come Vettel che in Giappone sceglie le soft alla seconda sosta e lascia ogni speranza di podio.

Di sicuro, e di questo gli va dato atto, nella gestione di Arrivabene quasi mai la ricerca della perfezione diventa un alibi per non agire. Ma si scontra ancora con le circostanze, con la furberia di Verstappen e la rabbia di Vettel nel duello rusticano per un podio accarezzato e perso fuori dalla pista in Messico, e con il diluvio di Interlagos. Un segno del destino per una stagione da archiviare in fretta.

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