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Alex Zanardi: 50 anni, mille vite. “Io l’Inferno neanche me lo ricordo”

Alex Zanardi compie 50 anni. Pilota, re dell’handbike, conduttore tv, ha saputo rinascere dagli incidenti e scoprire nuovi limiti da superare. “È facile confondere il valore di un obiettivo con la visibilità che ne deriva” ha scritto nel suo ultimo libro, “ma la felicità è quello che c’è prima del traguardo”.
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"Ci sono ragioni valide per soffrire. Dicono che io ci sia passato, un po' di anni fa". Inizia così il racconto di Alex Zanardi, quel Volevo solo pedalare in cui, con Gianluca Gasparini, ripercorre vita e carriera dal Lausitzring in poi. "E ci sono sensazioni nascoste che fanno percepire ciò che accade in modo diverso, incomprensibile agli occhi di chi guarda. Io ci stavo dentro, senza capire bene perché e da dove tutto questo avesse avuto inizio".

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Inizio con i kart – Di inizi, nella vita di chi 50 anni ha cercato strade percorse mai e limiti raggiunti mai, ce ne sono diversi. È una storia scritta nel dolore e nella rinascita, nella forza che nasce dalla sfida alla morte, dall'energia disperata e vitale che solo l'estremo può generare. La morte della sorella Cristina, nuotatrice di talento, in un'incidente stradale nel 1979 porta papà Dino e mamma Anna a cercare di tenere Alex lontano dalle strade. Ma Zanardi non smette di pensare a domani e nella casa di Castel Maggiore comincia a costruire il primo kart con i tubi del padre idraulico. Nel 1982 si iscrive alla classe Nazionale nel campionato italiano 100cc e finisce terzo la stagione. Durerà cinque anni l'esperienza con i kart, fino al 1987 dell'orgoglio e della rabbia. Orgoglio per il titolo nella classe 135cc, rabbia per l'ultimo GP nella classe 100cc, per il duello con Massimiliano Orsini che da dietro, a tre giri dalla fine, lo manda fuori pista e di fatto regala il titolo a un certo Michael Schumacher.

In F1 grazie a Jordan – Sono i luoghi e gli incontri a tracciare strade, orizzonti, possibilità. Dal test al Paul Ricard con la Footwork a quella chiamata dall'altoparlante a Le Mans. Sta correndo in F3000, quando lo speaker lo chiama: Eddie Jordan non riesce a trovarlo e gli vuole parlare. Gli offre di debuttare in F1, a Barcellona. È un circuito nuovo per tutti, è un inizio per chiunque. Zanardi chiude nono e con l'ottavo giro più veloce, appena dietro Senna. Nel giro d'onore, vede una persona che lo saluta: è papà Dino, che era arrivato al circuito senza dirglielo per non distrarlo.

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Eroe dei due mondi – Dino morirà prima del più folgorante degli inizi del calviniano Alex, viaggiatore delle notti d'inverno e dei giorni d'estate, che ha gustato fino in fondo tutto il sapore della vita, che non è facile per nessuno. Morirà senza vederlo campione del mondo per due anni di fila nella formula CART, a realizzare il suo sogno americano, la sua nuova frontiera. Comincia tutto a Laguna Seca, con quello che in America diventa semplicemente “The Pass”, un sorpasso da antologia su Bryan Herta al cavatappi di Laguna Seca durante il giro finale. L'anno dopo, cambia la storia della stagione a Cleveland. È in testa, ma gli vengono assegnate due diverse penalità. Si ritrova ultimo ma stampa il giro più veloce e riesce comunque a vincere passando de Ferran a pochi giri dalla fine. Fa ancora meglio a Long Beach, l'anno dopo: rimonta da ultimo e doppiato e vince.

Sentiero del dolore – “Quando racconto al dottor Claudio Costa, storico medico dei motociclisti e grande amico, di certi miei travolgenti finali di gara, lui identifica nella forza, nella cattiveria agonistica e nelle energie — che mi portano a volte a superare i limiti della fatica — il frutto di capacità speciali" scrive nel libro. "Parte con i suoi discorsi sul "sentiero del dolore", la mitologia greca, i racconti epici, alla fine dei quali la sintesi è la seguente: ci sono individui che quando desiderano qualcosa ferocemente riescono ad attivare meccanismi che annullano le protezioni naturali del loro corpo. Quelle che servono per evitare che la fatica ci faccia del male. È la più potente forma di doping che possa esistere in natura, conclude”.

Spa, la paura e l'altezza – Il male l'ha incontrato più volte. L'ha incontrato a Spa, nel 1993, la sua prima stagione con la Lotus in F1. Ha accettato l'offerta di Peter Collins, che lo vuole come sostituto di Mika Hakkinen al fianco di Johnny Herbert, e rifiutato la proposta di Briatore di entrare nel team Benetton ma non come pilota titolare per quella stagione (ha già scelto Patrese). Quell'anno viene investito mentre attraversa Bologna in bicicletta e durante le prove del Gran Premio del Belgio si schianta, per un guasto alle sospensioni, si schianta a oltre 240 km orari contro le barriere del Raidillon. La Lotus ne approfitta per sostituirlo con Lamy, che porta sponsor preziosi per la scuderia in difficoltà economiche. Zanardi ne esce illeso e più alto di 3 centimetri per la notevole forza che si è scaricata sulla sua schiena.

Passione – “È facile confondere il valore di un obiettivo con la visibilità che ne deriva, è una cosa che succede, e secondo me succede soprattutto agli sportivi, ancor più se diventano campioni" prosegue nel volume. "Voglio dire, essere famosi, riconosciuti, è per tanti la finta molla per inseguire una carriera. Ma quando l'ambizione comanda più della passione, a un certo punto ti pianti e in cima non ci arrivi più. Ciò che ti porta là in alto è la goccia che scava ogni giorno con la fatica quotidiana. Quasi non te ne accorgi, se quella è la strada che hai scelto. E io la mia strada l'ho trovata un pomeriggio in autogrill; non sapevo nemmeno come si chiamasse quel mezzo sul tetto di un'auto".

Handbike – È l'handbike di Vittorio Podestà, che come Zanardi, su una BMW X5 nuova fiammante con i cerchi in lega neri, ha avvistato l'ultimo posto libero per disabili. Ciclista costretto in carrozzina dopo un incidente d'auto nel 2002, “in quello stesso istante in cui il medico gli stava comunicando la notizia, ha iniziato a riprogettare la sua vita. Sportivo era e sportivo è rimasto: ha cominciato a giocare a basket in carrozzina e poi per caso ha scoperto l'handbike, che non ha più abbandonato”. Diventa anche la nuova sfida, il nuovo inizio di Alex, a Brands Hatch, una delle piste automobilistiche più belle e difficili del mondo, teatro della sua memorabile pole in F3000 nel 1991.

“Da quel momento è diventato un luogo che ricorre molto spesso e in modo romantico nella mia vita. Alla fine di quell'estate del 2007 ero proprio a Brands Hatch, Si disputava la gara del Mondiale Turismo. Fabio Fortina, che seguiva le attività promozionali della Barilla, allora mio sponsor, è arrivato da me dicendomi: «A novembre, alla Maratona di New York, organizziamo il solito pasta party della vigilia. A noi farebbe molto piacere se potessi fare un'apparizione». «Nessun problema» ho risposto «e visto che ci sono corro pure la maratona.» Bum”.

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Il precedente – Come Clay Regazzoni, corre la maratona nella Grande Mela in handbike. Da lì all'oro olimpico di Londra e all'argento di Rio nell'anniversario del Lausitzring il passo vale una vita.

“Se conosci l’Inferno, quando ti svegli sei felice di essere vivo" raccontava alla Gazzetta dello Sport. "Io l’Inferno neanche me lo ricordo, ero in coma, ma al risveglio ero messo così male che non ho potuto far altro che apprezzare quello che era rimasto di me. E’ in quel letto che ho vinto le medaglie olimpiche. L’incidente è stato il mio Cepu, un corso accelerato di vita”. Un corso che conferma la lezione di papà Dino. “La felicità non è nel risultato: quando hai conquistato una medaglia è già finito tutto. Felicità è quello che c’è prima del traguardo, fare una cosa amandola. L’ambizione è il colpo di reni che ti permette di tagliare la linea prima degli altri. La passione ti porta sino a lì”. Ti porta anche a vincere ancora, con l'amata M6 GT3, come pilota ufficiale e brand ambassador BMW, che festeggia i 50 anni di attività in Italia, nell’ultima gara del campionato nazionale GT.

E la domanda, scrive nel libro, sorge spontanea. “Uno è più campione quando vince una medaglia olimpica o quando si inventa quel percorso con la reazione che ha in un momento simile? Io ho la mia convinzione”. Anche noi.

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