Bulega, parla il papà: “Dopo l’incidente di Salom vederlo correre è un tormento”

Quello di Barcellona è stato un weekend particolare per tutti i protagonisti del Motomondiale: l'incidente di Luis Salom, caduto alla curva 12, colpito dalla propria moto e poi deceduto in seguito alle gravi ferite riportate, ha scosso tutto il paddock che si è stretto intorno alla famiglia del giovane pilota spagnolo.
Non solo i piloti sono rimasti colpiti da quanto accaduto, ma anche il papà di Niccolò Bulega, campioncino della Moto3 che viene da molti definito come il nuovo Valentino Rossi, ha vissuto con paura i momenti in cui il figlio era in pista ripensando proprio a quanto accaduto a Salom.
"Venerdì Nicolò mi ha mandato un sms, subito dopo la tragedia: per raccontarmi che il giorno prima si erano incrociati in sella agli scooter. Lo spagnolo lo aveva salutato per primo, sorridendo di gentilezza. È sempre un tormento, vederlo correre. In questi giorni, poi… sono stato io a far salire su di una moto Niccolò quando era piccolo. E ora? Dopo quello che è successo, mi chiedo se ho fatto bene" confessa a microfoni di Repubblica.
La paura di un genitore
Dubbi di un genitore come tanti, che teme per la salute – e per la vita – del proprio figlio. Lui, Davide Bulega, ex pilota che la morte l'ha toccata con mano quando, ancora giovane, correva sulle due ruote.
"Ero un pilota anche io. E 17 anni fa a Kyalami, Sudafrica, sono rimasto coinvolto in un incidente con altri 2 piloti. Un paio di ore dopo ci siamo ritrovati in ospedale: io con una caviglia rotta, Maio Meregalli con un polso e un braccio spezzati. Il terzo, Brett Mcleod, era coperto da un lenzuolo. Morto a 22 anni. C'erano la sorella e la madre, disperate. Terribile".
Adesso, seduto al box del team Sky Vr46, ammira le imprese del figlio, oggi quinto nella gara vinta da Jorge Navarro in Moto3, ma soprattutto dopo l'episodio capitato nella seconda sessione di prove libere del venerdì, ammette di sentire una responsabilità in più.
"Da padre è tutto diverso. Il motociclismo è uno sport bellissimo, la velocità è tutto: è vita, come dice giustamente Paolo Simoncelli. Però è anche pericolo, morte. E logora la famiglia. Allora quello che ti resta da fare è imbrogliare te stesso. Esorcizzare la paura, dicendo: a noi non accadrà. Altrimenti vai fuori di testa. Adesso è troppo tardi, non può più smettere, è come essere finiti in un tunnel. E se lo obbligassi a farlo, sarebbe come ucciderlo, ma la gioia di quando lo vedi salire sul podio compensa tutto".