Cinque esperimenti bizzarri nella storia della Formula 1
Sarà un anno zero per tutti, il 2017. Nuove regole, progetti diversi, nessun vero punto di riferimento. Il primo anno dell'era post-Ecclestone per la Formula 1 vivrà di incognite e possibilità, di innovazioni e, si spera, di maggiori incertezze. Per avvicinarci a una stagione che potrebbe cancellare qualche certezza abbiamo selezionato cinque esperimenti di una Formula 1 certo più genuina, per certi versi pionieristica, cinque azzardi di un circus che per tutti rappresentava la sfida per eccellenza.
Il ventilatore della Brabham
One hit wonder. Nessuna definizione si adatta meglio alla BT46, la Brabham-Tauranac nella versione B, con la ventola gigante al posteriore, che si vede in pista solo al Gran Premio di Svezia del 1978. Una gara, una vittoria, poi la squalifica. Eppure basta perché la BT46, la “fan car”, resti nella storia dell'automobilismo.
Come nasce l'idea del “ventilatore”? È la reazione della scuderia di Bernie Ecclestone alla Lotus versione 78, che aveva dominato il Mondiale 1977 con le vetture a “effetto suolo”. La progetta il rivoluzionario Gordon Murray, l'Adrian Newey di quell'era di sperimentazioni. Ma l'idea della ventola viene a David Cox e soprattutto a Gary Anderson, futuro progettista della Jordan, che ha visto una soluzione simile sulla Chaparall nel campionato Can-Am. Il regolamento tecnico bandisce “i dispositivi aerodinamici mobili” a meno che non “abbiano una funzione primaria diversa”. La Brabham dichiara che la ventola è un dispositivo di raffreddamento. C'è da subito un problema: la Brabham va troppo veloce. Murray manda Lauda e Watson in qualifica con 220 litri di benzina: nemmeno Nuvolari o Senna avrebbero potuto andare in pole così. In gara, d'accordo con Ecclestone, i tecnici della scuderia fanno vincere Lauda. E alla fine scoppia il finimondo. Colin Chapman minaccia di ritirare l'appoggio dei team inglesi a Ecclestone come presidente dell'associazione dei costruttori. Ferrari e Renault annunciano l'intenzione di unirsi, e addio ventilatore. “Con una macchina così, avremmo vinto tutte le gare” dirà Murray anni dopo, “avremmo potuto cambiare la storia della F1”.
March 711, il vassoio da tè
Perché la March 711 sia passata alla storia come “il vassoio da tè” è evidente. La scuderia è di fatto una startup, un'idea di Max Mosley, il futuro presidente della FIA, del progettista Robin Herd, di Graham Cooker che seguiva la produzione e Alan Rees, un discreto pilota britannico che nel 1965 vinse il GP del Mediterraneo di Formula 2 davanti a Jochen Rindt. Per la stagione 1971, la March chiama un altro progettista, Frank Costin, il fratello del fondatore della Cosworth che aveva già progettato la Protos di F2 famosa per il cupolino da caccia militare a schermare l'abitacolo. Costin piazza un grande alettone sopra il musetto, parallelo al terreno per estremizzare il passaggio dei flussi d'aria. Con quella vettura, la prima a introdurre l'air-scoop, Ronnie Peterson non vinse nemmeno una gara ma chiuse il Mondiale al secondo posto. Merito più della sua qualità che del valore del vassoio da tè.
Eifelland, lo Squalo
In quella Formula 1 da beat generation, attraversata da nobili kitsch alla Lord Hesketh e progettisti improvvisati, un posto d'onore lo mantiene di sicuro Lutz, per tutti Luigi, Colani. Giovane artista, pittore e scultore tedesco poi naturalizzato svizzero, studia aerodinamica alla Sorbona, svolge ricerca sui nuovi materiali per la Douglas Aircraft Company prima di dedicarsi alle auto. Pioniere del bio-design e delle forme tonde, realizza una versione della Giulietta che sarà la prima vettura a completare un giro al vecchio Nurburgring in meno di 10′. Cos' l'eccentrico Colani, che vive in un castello, veste con maglioni da cricket e fuma sigari, accetta la scommessa di Gunther Hennerici, il patron della Eifelland, un produttore tedesco di caravan alla ricerca di un posto al sole nel circus. Henerici compra una March 721, considerata la peggior vettura mai provata da chi l'aveva guidata come Lauda, e Colani la rimodella. Piazza una presa d'aria davanti all'abitacolo, con un solo specchietto retrovisore montato su un vistoso supporto praticamente all'altezza degli occhi del pilota. I primi test illudono, ma l'aerodinamica non funziona e il motore non riesce a raffreddarsi abbastanza. E dopo 8 gran premi senza risultati di rilievo, l'esperimento di Colani viene consegnato alla storia.
La Tyrrell a sei ruote
Pare che Jackie Stewart si sia quasi strozzato quando Derek Gardner gli ha annunciato il suo progetto rivoluzionario. Sono sul volo che li riporta a casa dal GP del Sudafrica del 1975 e Gardner gli svela l'idea per mantenere il vantaggio sui rivali. “Ho fatto dei calcoli: se costruissimo una vettura con quattro ruote piccole davanti potremmo guadagnare quasi 40 cavalli”. È nata la Tyrrell a sei ruote. Un progetto talmente segreto, anche se sviluppato in accordo con Goodyear che avrebbe dovuto fornire le gomme per le ruote piccole da 10 pollici, che nemmeno i piloti ne sapevano niente. Il progetto funziona. Alla prima gara, il GP d Spagna a Jarama, solo Patrick Depailler guida la rivoluzionaria P34 mentre il compagno di squadra Jody Scheckter rimane al volante della tradizionale 007. I risultati sono immediati: Depailler è terzo in qualifica, il sudafricano quattordicesimo. Depailler, però, deve ritirarsi per problemi ai freni, una costante nell'avventura della P34. Ma in Svezia, alla quarta gara, entrambi guidano una delle monoposto a sei ruote e firmano una storica doppietta. A Scheckter però, che pure ottiene così una vittoria, una pole e cinque podi, la macchina a sei ruote non piace. In frenata, spiega, in fondo, il vantaggio è solo apparente in staccata ma si perde in entrata di curva. Depailler, invece, è entusiasta. Tuttavia, alla fine del 1977 il progetto viene abbandonato in fretta e furia. La Goodyear, infatti, non ha portato sviluppi per le “mini gomme” e la vettura risulta sempre meno bilanciata. La Tyrrell comunque rimane l'unica monoposto ad aver vinto una gara con più di quattro ruote.
Arrows, Jordan e la terza ala
Anche nell'era moderna si sono viste sperimentazioni degne del tempo che fu. Soprattutto a Montecarlo, su un tracciato dalle caratteristiche uniche che richiede un set up apposito e non replicabile su altre piste. Così nel 2001 la Jordan Honda e la Arrows Asiatech si presentano con una terza ala, un'appendice aerodinamica sopra il muso, davanti all'abitacolo, per massimizzare l'aderenza. Qualcosa di non troppo lontano dal periscopio della Eifelland. Più evidente la soluzione della Arrows, che disegna un'aletta larga 50 centimetri. La Jordan invece sceglie una soluzione meno ingombrante, a 80 centimetri di altezza dalla carrozzeria. Resteranno esperimenti unici. Il delegato FIA Jo Bauer li considera insicuri e decide di bannarli.