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F1, GP Australia: la guida all’Albert Park

Dieci curve a destra, sei a sinistra, due grosse staccate e una successione di frenate a medio-bassa velocità. L’Albert Park è un circuito semi-permanente che richiede alto carico aerodinamico, come Silverstone, e un bilanciamento perfetto fra trazione e aderenza.
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L'asfalto irregolare, l'aderenza scarsa all'inizio e via via crescente, le imprevedibili condizioni meteo. Tre variabili che spesso finiscono per cambiare la storia del GP che dal 1996 apre il Mondiale di F1, all'Albert Park di Melbourne. Mondiale che in questo 2015 si apre nel caos per l'incidente di Alonso, il tribunale che ordina alla Sauber di riassumere van der Garde e la Red Bull che fallisce i crash test per il nuovo muso corto.

Il circuito – Il tracciato, semipermanente, si articola intorno al lago artificiale dell'Albert Park, a pochi chilometri dal distretto finanziario di Melbourne. È l'unico che ha ospitato il Gp d'Australia sia nel Mondiale di F1 sia nelle edizioni degli anni '50, organizzate su una versione più antica del tracciato, da 5 chilometri da percorrere in senso anti-orario, contrario rispetto all'attuale, come i Moomba Meeting del 1955 e del 1956, una sinergia tra l'Argus Trophy e il più grande festival gratuito d'Australia. Ricavato da strade aperte al pubblico, presenta un asfalto sconnesso e in più punti irregolare, che richiede soluzioni di compromesso per assorbire i sobbalzi, un'alchimia più complessa da trovare alla prima gara della stagione.

Un giro sul tracciato – Il rettilineo di partenza, prima delle due zone DRS, immette su una chicane già piuttosto insidiosa: dopo la robusta frenata, serve sfruttare il cordolo interno in uscita dalla curva 2 per ottimizzare l'accelerazione in ingresso del secondo rettilineo, l'altra zona DRS, che porta alla curva 3, la prima di una sequenza di tre curve chiuse. La forte staccata, dall'ottava alla seconda, permette di cercare l'attacco tanto all'interno quanto all'esterno, che si trasforma nella traiettoria interna alla 4, a sinistra. La 5, una piega a destra in accelerazione, immette in un'altra combinazione che più di qualche problema ha dato ai piloti in passato. La 6, a destra, segna l'inizio del secondo settore: diventa una sorta di curva cieca per via degli alberi che oscurano la visuale, e soprattutto in caso di pista umida individuare le pozzanghere è quasi impossibile. Passato il punto di corda, si può sfruttare il cordolo a sinistra per affrontare la 7 (simile alla 2) e allungarsi a percorrere la 8 in piena accelerazione. In uscita, si sfiorano i 300 kmh prima della frenata dalla settima alla terza (fino ai 120 kmh) per immettersi nella chicane che porta alla fine del secondo settore: dopo la 9, a destra, si accelera lungo il cordolo interno della 10, una curva lunga ma dal raggio regolare che si percorre come un rettilineo e immette in una seconda chicane, questa però ad altissima velocità, una combinazione sinistra-destra in quinta, sesta marcia, in cui davvero la potenza si traduce in nulla senza controllo. Perché tutti cercano di sfruttare i cordoli, ma dosare la misura fa la differenza, e allargarsi troppo è garanzia di scarso bilanciamento e preludio al testacoda. Dopo l'ultimo rettilineo, i piloti affrontano la più dura frenata del tracciato, alla curva 13, altro punto particolarmente favorevole per tentare un sorpasso. Seguono due svolte piuttosto lente, la 14 a destra, e soprattutto la 15, a sinistra, da percorrere in seconda marcia. In uscita i piloti cercheranno prevedibilmente di allargarsi, perché qui c'è il detection point per l'attivazione dell'ala mobile, e una traiettoria più larga garantisce più spazio per lanciarsi in accelerazione verso la curva 16, che si affronta a gas aperto, e il rettilineo d'arrivo.

Le chiavi – Dal punto di vista della power unit, le frenate brusche consentono una percentuale elevata di ricarica durante il giro, ma non è facile ottimizzare la quantità di potenza recuperata, e conseguentemente erogata a bassi regimi, in assenza di rettilinei particolarmente lunghi. Le caratteristiche del percorso, i continui “start and stop” impongono un carico aerodinamico piuttosto elevato al posteriore, non ai livelli di Monaco, ma con configurazioni più simile a quelle utilizzate a Silverstone o in Spagna. Serve una monoposto morbida, che possa assorbire l'asfalto sconnesso, magari con sospensioni un po' più rigide per aumentare la reattività nei cambi di direzione e reggere i passaggi sui cordoli in curva. Come spesso capita, saranno freni e pneumatici a fare la differenza. La successione di frenate e di curve a bassa velocità aumenta i carichi di frenata e il sovraccarico per il sistema brake-by-wire. Con dieci curve a destra e sei a sinistra, la gomma più sollecitata a Melbourne rimane la posteriore sinistra. Come l'anno scorso, Pirelli ha scelto di portare le soft e le medie, con un gap di prestazione stimato tra gli 1,2 e gli 1,5 secondi. La nuova struttura dei pneumatici posteriori, ha spiegato il responsabile motorsport Paul Hembery, “consentirà ai piloti di accelerare prima in uscita di curva, contribuendo così al netto abbassamento dei tempi che ci aspettiamo per questa stagione. Come sempre a inizio campionato, il primo GP aiuterà a capire il reale valore tecnico delle monoposto, ma sappiamo già da ora che le prestazioni aumenteranno sensibilmente nel corso dell’anno, e questo inciderà notevolmente sull’interazione fra monoposto e  pneumatici. Nel corso dei test pre-campionato in Spagna, la gamma P Zero 2015 ha confermato miglioramenti di prestazione e di durata, ma ovviamente la cartina di tornasole sarà il week-end di gara, con i piloti sempre impegnati a spingere al massimo”.

GP AUSTRALIA – MELBOURNE

Lunghezza: 5,303 km

Giri: 58

Distanza da percorrere: 307,574 km

Giro record: 1:24.125 – M Schumacher (2004)

Giro record 2014: 1:32.478 – N.Rosberg (Mercedes)

Velocità massima 2014: 306,2 kmh – S.Perez (Force India)

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