F1, GP Bahrain: tutte le ragioni della crisi Ferrari
«La Ferrari non fa ali, ma motori», era il tormentone di Montezemolo, quando il principale problema delle Rosse era l'aerodinamica. Ma quest'anno la scuderia di Maranello soccombe proprio sui motori. In questa seconda era del turbo, la Ferrari sta perdendo la sfida tecnologica contro Mercedes e Renault. A Sepang e in Bahrain, le Rosse hanno fatto tanta, troppa fatica in rettilineo e sviluppato velocità di punta decisamente insufficienti, inferiori perfino a Lotus e Caterham in qualifica a Sakhir. E se la Red Bull forse esagera quando lamenta un gap di 80 cavalli tra la propria power unit e quella Mercedes, è indubbio che un gap notevole esista (molto meno dei cinquanta voluti dalla vulgata, ma purtroppo ben più di dieci, secondo le migliori fonti) e che le Rosse viaggino 10-15 kmh più lente delle concorrenti. Tanto che nel paddock a Sakhir, come riporta Repubblica, si diffonde una battuta acida, ma tristemente capace di fotografare la realtà: «Che ci fanno due taxi rossi in mezzo alle macchine da F1?».
MOTORI – Montezemolo è stato chiaro in Bahrain: «I motoristi si diano una mossa». Chiamati in causa soprattutto James Allison, l'uomo nuovo della Ferrari, a cui il team principal Domenicali ha affidato il futuro del Cavallino, e Luca Marmorini, dal 2009 responsabile di motori ed elettronica. Dovranno trovare le soluzioni in fretta, già a partire dai due giorni di test a Sakhir di questa settimana, con Alonso al volante. «C’è mancata velocità in rettilineo, ci superavano tutti, abbiamo perso prestazione in ogni area» ha ammesso lo spagnolo. «Piloti e meccanici hanno fatto il massimo, la mia partenza è stata perfetta, strategia e pit stop eccellenti, di più non si poteva ottenere, a mancare era la macchina». Detto poco. «La verità, lo dice la classifica, è che in questo momento siamo la quinta squadra» riconosce Alonso. «Non ci sono stati incidenti, non abbiamo dovuto fare pit stop extra, quello che potevamo fare è questo. Io ho vinto tre volte qui, anche Kimi è andato sempre forte su questa pista, non è che ci siamo dimenticati come si guida».
POWER UNIT E NOVITÀ – «Siamo alla vigilia della più grande rivoluzione tecnica da quando sono in Formula 1», diceva alla vigilia della stagione Allison, laureato a Cambridge e assunto alla Benetton di Flavio Briatore nel 1992. Una rivoluzione che parte dal propulsore, o meglio dalla power unit. Al motore, un V6 1600 turbo da 600 cavalli (contro i 750 dei predecessori, i V8 2400) si unisce un sistema di recupero dell'energia, l'ERS, che adotta due motori elettrici. Uno, l'MGU-K, l'ex KERS, recupera l'energia cinetica dispersa in frenata e la reinvia al motore: ha una potenza di 120 kW e si può utilizzare per 33” a giro. L'altro, il nuovo MGU-H, recupera energia dal piccolo albero della turbina mossa dai gas di scarico. L'energia di questi due motori elettrici viene immagazzinata in una speciale batteria unica, posta obbligatoriamente all'interno del serbatoio, che può scaricare al massimo 4 Mjoule per ogni giro. Per far funzionare questo sistema, all'interno della Ferrari scorrono 25 chilometri di cavi, conditi da 10 centraline elettroniche e 500 sensori. È qui, tra motore, generatore, batteria e sistemi di recupero dell'energia, che il Mondiale si vince o si perde.
Dal punto di vista del design, la Ferrari ha scelto una strada diversa rispetto a Renault e Mercedes: la MGU-H è sotto la turbina, ma la differenza principale riguarda il sistema di raffreddamento del turbo. Il Cavallino è l'unica scuderia ad aver scelto un meccanismo aria-acqua, che ha permesso di ridurre del 15% le masse radianti rispetto agli altri motoristi che hanno scelto il sistema classico ad aria. Una scelta che ha permesso la realizzazione di una power unit leggera, contrariamente alle indiscrezioni circolate prima di Sepang secondo cui il motore Ferrari sarebbe “sovrappeso”. La stessa scuderia, tramite i suoi portavoce, ha smentito e sottolineato anzi come il Cavallino si sia opposto all'aumento di 10kg del peso complessivo della vettura (monoposto+liquidi+pilota), proprio per sfruttare la leggerezza della sua power unit. La leggerezza, tuttavia, non è una virtù in sé. Le Rosse non hanno avuto problemi di affidabilità, però riuscire a vedere la bandiera a scacchi tre volte su tre non può certo bastare.
RIORGANIZZAZIONE – Non è bastata nemmeno la riorganizzazione interna operata prima del GP di Sepang. «Sono tutte promozioni», hanno fatto notare da Maranello, normali ritocchi, programmati da tempo, al modello organizzativo. Questi ritocchi, però, hanno riguardato in particolare l'area dell'elettronica e dei dispositivi di riutilizzo dell'energia, l'area in cui la Ferrari sembra patire di più il confronto con le monoposto motorizzate Mercedes. La sensazione, in questi primi Gran Premi, è che la Ferrari abbia concentrato praticamente tutte le risorse sul miglioramento della power unit, come dimostra l'assenza di novità aerodinamiche di rilievo nel corso delle prime gare. Ma il gap con le altre è aumentato: a Melbourne, Alonso è rimasto attaccato alla Force India di Hulkenberg ed è riuscito a passarla alla fine, a Sakhir il tedesco, appena uscito dai box, ha bruciato Raikkonen. «Ho pensato di essere stato colpito da un fulmine» ha commentato Iceman. «Mi ha affiancato ed è sparito all’orizzonte». In questi due fotogrammi c'è l'essenza di una crisi che non si può ridurre solo a un gap di potenza nel motore. «Qui è emerso che il nostro limite maggiore è nella velocità di punta» ha detto Pat Fry. «Stiamo lavorando per migliorare l'erogazione della potenza e la guidabilità».
SCONFITTA POLITICA – A Sakhir, la Ferrari ha subito anche una sostanziale sconfitta politica. La richiesta di Montezemolo di intervenire sui regolamenti, di cambiare le regole in corsa, è indubbiamente inusuale. In più, parlare di “Formula noia” proprio ieri, al termine di un Gran Premio avvincente e spettacolare non ha aiutato. La Ferrari potrà anche dimostrare di essere nel giusto, ma non sarà tanto forte politicamente da ottenere i cambiamenti regolamentari prima del 2015. «Perché per il cambio in corsa» ricorda Jean Todt, il capo della FIA, «ci vuole l’unanimità». E dalla Mercedes il sì non arriverà mai.