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F1, GP Usa: non decolla la Ferrari americana

Il tredicesimo posto di Raikkonen è forse il punto più basso della stagione. La Ferrari è sbarcata alla Borsa di New York, ma in pista in America non cambia nulla.
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Sarà anche quotata alla Borsa di Wall Street, ma la nuova Ferrari scorporata dalla FCA somiglia tanto alla vecchia. Alonso si impegna, si batte, duella con Ricciardo e Vettel, supera Button e Magnussen, bel biglietto da visita se davvero approderà in McLaren l'anno prossimo, ma sepre sesto arriva alla bandiera a scacchi. Se di lui si parla più per la barba o per cercare di capire dove andrà l'anno prossimo, con l'asturiano che gioca a fare la sibilla, un motivo ci sarà.

Le battaglie di Alonso – Tutta la Ferrari è in un guado di motivazioni, in una selva oscura in cui la retta via smarrita è difficile da individuare, nonostante le sempre più sterili rassicurazioni dei progettisti. A Austin si sono viste anche alcune soluzioni che dovrebbero essere integrata nella Ferrari del prossimo anno: si è vita un'ala anteriore diversa nelle libere, un profilo differente dell'alettone e delle sospensioni posteriori  in gara. Ma la trazione è mancata per tutto il weekend. E certo non aiuta a risollevare le sorti di una stagione che somiglia tanto al 1993 che segnò l'avvento di Jean Todt e l'inizio della rivoluzione culminata nell'arrivo di Byrne, Brawn e Michael Schumacher. Ma oggi capire quel che sarà ridisegna i confini dell'impossibile.

Fallimento Raikkonen – Davvero incolore il tredicesimo posto per Raikkonen, finito in top-5 solo a Spa (suo record negativo), al 210° GP in carriera, agganciato Berger al decimo posto all time. Iceman si è continuato a lamentare per tutto il weekend dell'assetto dell'avantreno, di una F14T che "scivolava" troppo. Purtroppo, e non è certo una scoperta di oggi, Raikkonen è pilota poco flessibile, che per esprimersi al meglio ha bisogno di configurazioni molto precise all'anteriore, e variazioni, deviazioni anche piccole , gli impediscono di completare performance soddisfacenti. Iceman non si è mai adattato allo stile di guida richiesto dal nuovo motore, a una macchina con troppo sottosterzo praticamente su ogni tracciato. Tuttavia, vedere un Raikkonen bruciato da un Vettel capace di agganciare il settimo posto con quattro soste ai box, vederlo dietro anche a un Vergne peraltro immenso, e alle Lotus di Maldonado e Grosjean, apparse più competitive in tutto il weekend, è forse il punto di non ritorno, l'epifania di una stagione iniziata con il lusso di due ex campioni del mondo e finita in una concatenazione di negatività, in una deriva che nessun ricambio a livello organizzativo è riuscito a spezzare né tantomeno a invertire.

La vittoria di Mattiacci – La vittoria più importante l'ha ottenuta però Marco Mattiacci. E' stato infatti raggiunto l'accordo cn Renault, Mercedes e Honda per poter intervenire sui motori fino a luglio nella prossima stagione. Almeno parzialmente, dunque, lo "scongelamento" delle power unit, di cui il team principal della Rossa è stato tra i maggiori sostenitori, diventerà realtà. E non è l'unico cambiamento che Bernie Ecclestone potrebbe convincersi a introdurre, scottato evidentemente dall'assenza di Marussia e Caterham, travolte dalla crisi di sistema che ha lambito anche altre squadre, su tutte Sauber, Lotus e Force India. “Il problema è che ci sono troppi soldi probabilmente distribuiti male, probabilmente è colpa mia”, ha spiegato Ecclestone. “Se la società (la Cvc, ndr) fosse stata mia, avrei fatto le cose in modo diverso perché avrei avuto a che fare con i miei soldi. Ma lavoro per persone che sono nel business per fare soldi. Ho detto a chi prende un sacco di soldi che vorrei prendere una percentuale dei loro premi legati alle prestazioni e li dividerei tra quei tre o quattro team che sappiamo essere in difficoltà. Ma non ci sarebbe alcun team che pensa che questa sia una buona idea”. Sulla questione della redistribuzione delle risorse, “il cambio deve riguardare come incrementare le entrate" ha detto Mattiacci al sito Pitpass.com, "l’obiettivo non è cambiare i criteri con cui si spartisce la torta, è fare in modo che la torta sia più grande. Secondo Lauda, poi, la questione riguarda anche gli interlocutori e la gestione dei team. "Se oggi verso 50 milioni a chi rischia di chiudere, di sicuro il debito si dimezza. Ma dopo 3 mesi si ricrea. Questa crisi è anche una questione di management delle squadre”.

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