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Ferrari un anno dopo Marchionne, cosa rimane dell’eredità lasciata dal presidente

Il manager italo-canadese ha lasciato un segno profondo in Ferrari: dalla scelta di affidarsi al giovane Charles Leclerc al posto di Kimi Raikkonen alla lotta contro la standardizzazione dei componenti passando per la valorizzazione dei talenti italiani, ecco cosa rimane delle idee di Marchionne a un anno di distanza dalla sua scomparsa.
A cura di Matteo Vana
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Il presidente della Ferrari Sergio Marchionne - Getty Images
Il presidente della Ferrari Sergio Marchionne – Getty Images

Sergio Marchionne non c'è più, ma le sue idee in Ferrari continuano a vivere; un anno fa se ne andava il presidente della Rossa, arrivato a Maranello per riportare la Rossa ai vertici e vincere quel titolo mondiale che manca dal 2008, anno in cui Kimi Raikkonen e Felipe Massa riuscirono a conquistare il campionato costruttori. Una missione riuscita a metà e che rimane l'unico neo di una gestione illuminata: il Cavallino, nonostante lo strapotere Mercedes nell'era ibrida della Formula 1, è tornato a duellare per la vittoria e non può essere un caso che proprio il 2019, la prima stagione senza il manager italo-canadese, sia per ora quella più complicata.

Leclerc e Binotto, le scelte di Marchionne nella Ferrari attuale

Era il 2014 quando Marchionne si insediava ufficialmente a Maranello: un lavoro complicato il suo per riportare la Ferrari ai livelli di eccellenza ai quali i tifosi, con l'epoca Schumacher, erano abituati. "L'impegno che ho preso di fronte a voi e alla squadra è quello di lavorare come un dannato per riportare la Ferrari a vincere" erano state le sue parole in tempi nei quali la Rossa riusciva a malapena ad arrivare a podio, ma bastarono due gare per dargli ragione con il successo di Vettel in Malesia senza però riuscire a prendersi quel mondiale tanto sognato. La scuderia era la sua amata, la preferita tra tutte le attività svolte: la competizione, la voglia di superare la Mercedes "togliendo quel sorriso dallo loro faccia" aveva spinto Marchionne a rifondare il team partendo dalla struttura per arrivare ai piloti. Il frutto del suo lavoro è sotto gli occhi di tutti ancora oggi: a lui si deve l'arrivo di Mattia Binotto, ma solo il tempo potrà dire se la mossa ha portato i frutti sperati, così come la scelta coraggiosa di lasciare libero Kimi Raikkonen per affidarsi al giovane Charles Leclerc, prodotto della Ferrari Driver Academy, lui sì, una scommessa già vinta.

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La figura del presidente continua a guidare le scelte di Maranello

L'eredità lasciata da Marchionne a Maranello è di quelle pesanti: Binotto e Leclerc rappresentano solo due dei tasselli della sua rivoluzione: oltre a loro ci sono le linee guida per il Patto della Concordia, la lotta alla standardizzazione dei componenti e la minaccia di abbandonare la Formula 1, la struttura orizzontale e la valorizzazione delle risorse interne perché, come amava spesso ribadire, i talenti italiani esistono. Con il manager italo-canadese la Ferrar i ha corso in pista e sui mercati, tanto da arrivare al GP di Germania, un anno fa, in testa al mondiale con Sebastian Vettel, quel tedesco che, per stessa ammissione del presidente, "sembra un meridionale" a causa della sua emotività, di quella passione tipica di chi sposa una causa e fa di tutto per portarla avanti. Non ha fatto in tempo a festeggiare il mondiale, se ne è andato poco dopo aver visto il suo pilota insabbiarsi mentre era in testa e chissà che, con lui al timone, quel mondiale non sarebbe finito diversamente. A Maranello manca la sua figura così come la leadership che esercitava, ma la Ferrari continua a vivere grazie alla sua programmazione; fosse ancora al comando starebbe analizzando il perché la SF90 non riesce a far funzionare le gomme nella maniera adatta chiedendo ai suoi tecnici uno sforzo in più, cercando di spostare i limiti un po' più in là con il tipico atteggiamento di chi vuole fare la storia e, soprattutto, con la consapevolezza che quel sorriso, ai tedeschi, prima o poi la Ferrari riuscirà a toglierlo.

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