Hamilton, l’ultimo working-class hero della Formula 1
A sei anni, per il Natale del 1992, il piccolo Lewis riceve in regalo il suo primo go-kart. Papà Anthony ha lavorato notte e giorno per far sembrare nuovo quel pezzo d'antiquariato, passato già per diverse mani. Fonda un percorso, sogna una strada, inquadra un obiettivo da inseguire senza deroghe alla cornice di valori. Il piccolo Lewis, che di cognome fa Hamilton, è appena diventato il terzo uomo dopo Juan Manuel Fangio e Michael Schumacher, a vincere cinque titoli mondiali in Formula 1. Questo sport, ha detto nella prima puntata del nuovo e stimolante podcast ufficiale della F1, “Beyond the Grid”, "mi ha dato uno scopo. Mi ha spezzato il cuore, perché fallire, cadere quando tutti ti guardano ti uccide. Però quando poi ti rialzi e arrivi a farcela, allora ti solleva. È come quando ti rompi un osso: fa male, poi si salda e continui ad andare".
I numeri del dominio
Fino al GP del Messico, Lewis Hamilton ha ottenuto nove vittorie nel 2018: battere il suo primato stagione, le 11 del 2014, può ulteriormente impreziosire la stagione. Ha raggiunto i 71 successi in carriera, il 31,56% delle gare disputate in carriera. È la quarta miglior percentuale fra i piloti con almeno dieci vittorie, dietro Fangio (47,06%), Alberto Ascari (40,63%) e Jim Clark (34,72). In Giappone ha festeggiato le 80 pole position in carriera, una ogni 2,35 gare. Al netto dei diversi contesti e delle differenti epoche, è un dato migliore rispetto ai due grandi della Formula 1 moderna. Ayrton Senna, di cui Hamilton ha sempre ammirato la freddezza in pista, ne ha ottenuta una ogni 2,49 gran premi; Schumacher ha celebrato la 68ma e ultima, in Francia nel 2016, al suo GP numero 243, una ogni 3,57 GP. “Sono evidentemente migliorato nel corso della stagione” ha detto Hamilton, come riporta Autosport, che ha dato una costante impressione di dominio della scena dopo la pausa estiva. In qualifica, quest'anno Bottas sei volte è riuscito a partirgli davanti. Nelle 47 sessioni, tra Q1, Q2, e Q3, in cui sono stati in pista insieme, Hamilton ha chiuso 36 volte con un tempo migliore del compagno di squadra.
Per una misura più accurata, ovviamente non esaustiva né tantomeno l'unica possibile, dell'impatto del pilota proviamo a considerare la media dei tempi di Hamilton e Bottas in queste sessioni per ogni gran premio. Su 18 circuiti, Hamilton ha un crono medio in qualifica peggiore del compagno di squadra solo in Cina e Canada. Il vantaggio medio del campione del mondo su Bottas è di due decimi, ma supera il mezzo secondo a Monza e i quattro decimi in Francia, Gran Bretagna e Australia (qui calcolato solo su Q1 e Q2).
Il confronto con la Ferrari, con questo stesso metodo, rende l'effetto-Hamilton ancora più evidente, e aumenta i rimpianti del Cavallino. La Ferrari, infatti, ha tempi medi migliori in qualifica in tutte le prime sette gare del Mondiale. Fa peggio tra Francia, Austria e Gran Bretagna e nelle ultime disastrose qualifiche in Russia e Giappone. La media complessiva dei tempi, che come ogni rilevazione di questo tipo livella le specificità, evidenzia un potenziale sul giro secco praticamente identico (la media dei tempi nelle prime 17 gare si differenziano per un centesimo).
Serie record di punti
Il ritiro in Austria, il primo dal GP di Malesia del 2016, ha chiuso una serie record di 33 gare consecutive a punti. Nessuno aveva mai superato i 27 Gran Premi di fila a punti, il precedente record spettava a Kiki Raikkonen tra Bahrain 2012 e Ungheria 2013. Iceman è uno dei soli 5 piloti capaci di classificarsi a punti per più di 20 gare di fila, davanti a Michael Schumacher, 24 tra Ungheria 2001 e Malesia 2003, Fernando Alonso (23) e Sebastian Vettel (21). Nelle prime 17 gare, Hamilton ha ottenuto 331 punti, il 77,88% di quelli teoricamente disponibili. Certo, avere a disposizione la monoposto che ha riscritto i record nell'era dell'ibrido è un indubbio vantaggio. Dall'introduzione dei nuovi motori, nel 2014, solo 14 volte un pilota Mercedes non è arrivato al traguardo e solo due volte su 177 una Freccia d'Argento si è classificata senza andare a punti: nello stesso periodo, si contano 27 ritiri in Ferrari e 38 in Red Bull.
Stile di guida
Ma cosa lo rende diverso dai compagni di squadra e dai rivali? Per capirlo, ha detto a F1 Racing Sam Michael, che con lui ha lavorato in McLaren nel 2011 e 2012, c'è un aspetto inconscio, legato ai tempi di reazione, e un aspetto tecnico. "Quando vedi che un pilota è di un secondo più veloce del compagno di squadra" ha spiegato, "il divario sta quasi tutto nella frenata e nell'ingresso di curva. È lì che sfidano il limite nell'aderenza, mentre la macchina si muove molto". Frenare al limite e insieme controllare l'anteriore richiede quella velocità di reazione, quell'istinto naturale che Hamilton possiede più di tutti. "Sa frenare tardi come nessuno, ma riesce a far scivolare la macchina e impostare la curva" sottolinea Pedro de La Rosa, "è questo che lo rende speciale".
Impressioni rinforzate in un libro realizzato da Brembo, “Unstoppable”,che analizza lo stile di frenata dei grandi che hanno fatto la storia della Formula 1. Hamilton, scrivono gli ingegneri come riporta un estratto pubblicato su Motorsport.com nel 2015, "è incredibilmente reattivo quando inizia a frenare; spesso va oltre i limiti di aderenza della gomma e solo dopo, applicando una pressione massima sul pedale, inizia a controllare l'azione del sistema frenante. Vuole un controllo perfetto all'ingresso di curva, e spesso rilascia il pedale durante la curva. La prima parte della sua frenata finisce quando imposta la curva, e questo aumenta il rischio di bloccaggio delle ruote anteriori". Infatti, la gestione della temperatura delle gomme, per un pilota che riesce a portare in curva più velocità di tutti e che frena così tardi, rimane un fattore cruciale. Per cui in gara, con le mescole attuali di uno step più morbido rispetto all'anno scorso, si ritrova a dover contenere di più i suoi istinti per non accelerare oltre misura il degrado delle gomme.
Ogni tatuaggio una rivelazione
Hamilton racconta un cambio di stagione, la BBC lo scorso luglio ne parlava come l'ultimo "working-class hero". “I piloti di oggi arrivano da background privilegiati” spiegava Hamilton, "non vedo ragazzi di famiglie di lavoratori come la mia". Il cinque volte campione del mondo, uno degli eroi sportivi più influenti del mondo contemporaneo con oltre undici milioni di follower solo tra Instagram e Twitter, è sempre rimasto dentro il quadro di valori che papà Anthony ha trasmesso. “Rise above it, no matter what life throws at you. And also, you know, Jesus rose from the grave", si è fatto tatuare sulla schiena, “alzati, qualsiasi cosa la vita ti riservi. In fondo, anche Gesù si è alzato dalla tomba”. Ogni tatuaggio è un messaggio, la pennellata di un ritratto.
La forte fede religiosa, che ha confermato anche nel podcast Beyond the Grid, è scritta nel tatuaggio con la Pietà sulla spalla e nella scritta “fede” sul petto. Nella sua vita c'è anche la “family”, parola che gli attraversa il petto. C'è la musica, con le note sul braccio a tratteggiare una passione non proprio di passaggio. Ha infatti scritto un'ottantina di canzoni, di vari generi. C'è la moda, ha disegnato una collezione per Tommy Hilfiger presentata a settembre, 70 modelli pieni di colori in cui traduce la passione per l'hip hop, “The Loyalty Line”. "Quando smetterò di correre" ha detto a GQ ad agosto, "non voglio restare nel mondo dei motori, o comunque non voglio che questa diventi la mia unica attività. Negli ultimi sei, sette anni, sto cercando di scoprire altre passioni". Chissà se a suo figlio regalerà un go-kart per Natale.