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MotoGp: dottore, chiamate il Dottore

A una settimana dal Mondiale, Valentino Rossi ammette: “Al momento, per vincere serve un miracolo”. La Yamaha M1 è indecifrabile, soprattutto all’anteriore. Ma a 38 anni, e con un compagno di squadra già veloce come Vinales, il Dottore accetta la sfida e rilancia: “Correrò comunque almeno altri due anni”.
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Dottore, chiamate un dottore. Chiamate il Dottore. Valentino Rossi c'è e non vuole proprio abdicare. Da tre anni è vice campione del mondo, è il più anziano della compagnia, ma l'idea del decimo Mondiale, della doppia cifra a suggello di una carriera già da leggenda, è ancora lì, come uno spiraglio di luce nelle ombre di una M1 che però balbetta molto più di quanto immaginato.

«Con la Yamaha non avevo mai fatto così fatica nei test, mi capitò solo con un'altra moto…» aveva detto. Il nome, il segreto da non dire, è in realtà un segreto di Pulcinella. È Desmosedici, il marchio di un incubo durato due anni, quel biennio in Ducati senza nemmeno una vittoria. Una parentesi che Valentino aveva cercato di mettersi alle spalle, ma che torna e porta dietro esuli pensieri e scuri presagi. È soprattutto l'anteriore che preoccupa Rossi, che ha lavorato senza trovare la formula giusta sul bilanciamento dei pesi e il feeling con la moto, soprattutto in ingresso curva. Anche le gomme si degradano troppo davanti, come se fossero troppo morbide. Il rendimento così rimane troppo vincolato alle condizioni della pista: una dipendenza da cancellare al più presto, magari intervenendo come già sperimentato a Losail sulla posizione di guida.

Il tempo e la razionalità

Al Dottore, sintetizza Guido Meda ospite di Deejay chiama Italia, “manca un po’ di quell’energia e di quella spericolatezza che hanno i giovani, è aumentata la soglia della razionalità. Essendo più puntiglioso è più complicato mettere a punto la moto e ci vuole maggiore tempo. Valentino non sente l’avantreno nelle mani ed è la sensazione più brutta che si può avere, non può forzare l’ingresso in curva visto che non sente l’anteriore”.

I test in Qatar sono diventati, di fatto, un anticipo del primo gran premio della stagione. E al di là dei discorsi di facciata e del quid di imponderabile, stavolta del doman v'è certezza eccome. Da qui al primo semaforo verde del 2017, per vincere servirà un miracolo. “Nel passo non ero a posto e sapevo di non essere abbastanza veloce perché non riuscivo a guidare bene. Sarò indietro di otto decimi” ha ammesso Rossi, rimasto molto indietro anche rispetto a Vinales, il giovane e decisamente ambisioso nuovo compagno di squadra. Rossi, invece, non ha ancora capito come far volare la M1. “Delle volte riusciamo a andare meglio, in altre facciamo più fatica. Non ci resta che guardare i dati, ci confronteremo e cercheremo di capire meglio come procedere” ha dichiarato al quotidiano spagnolo As.

"Serve un miracolo"

Di sicuro, ha ammesso, “al momento non posso pensare di essere tra i candidati a lottare per il titolo”. E certo non può essere consolante la prospettiva del mal comune, dei problemi che affliggono il campione del mondo in carica, Marquez. Col “nemico pubblico numero 1” comunque, l'aria è più rilassata, come conferma anche il team principal della Honda Livio Suppo, soprattutto dopo la stretta di mano dell'anno scorso a Barcellona.

Il trentottesimo compleanno, festeggiato a Philip Island nella prima tornata di test invernali, è passato con qualche incertezza di troppo. Guai però a farsi prendere dal panico, i piloti non dovrebbero portare mai pensieri pesanti che sarebbero già da soli tutto carico in più, Fossati docet. Soprattutto con le indicazioni sempre tutte da decifrare dei test per familiarizzare con le nuove moto alla vigilia della stagione. Rossi, poi, anche nelle sue stagioni migliori ha sempre saputo tirare fuori il meglio quando conta di più, pur senza essere uno specialista dei collaudi.

La passione, quella c'è sempre, non finirà mai. Perché quando ti piace fare qualcosa trovi sempre una motivazione in più per provare a farla meglio. E il Dottore non ha perso la voglia di rimanere competitivo, di battersi su due ruote, di sentire l'adrenalina della velocità che fa sentire anche più giovani. Non ha ceduto al canto delle sirene delle quattro ruote, nemmeno quando le avversità, le delusioni, i piazzamenti da ballerino di fila avrebbero potuto lasciar prevalere il fascino di una nuova sfida. In Yamaha si è ricostruito, da zero. Ha recuperato competitività, fiducia, divertimento. Ha cancellato dall'orizzonte degli eventi e della storia il passato, i titoli, il blasone, le coppe e i campioni. Ha osservato i rivali, ha spostato la notte ancora più in là. Ha messo in discussione il suo stile, ha affrontato strade percorse mai e cercato limiti raggiunti mai. Non si è arreso al tempo che passa, che in fondo è solo un abito che si indossa.

Un'icona senza tempo

È rimasto, anche senza vincere, la vera icona della MotoGP. E questo avrebbe convinto la Yamaha a preferirlo a Jorge Lorenzo, passato in Ducati dopo nove anni e tre titoli mondiali con la casa nipponica. “Rossi è un pilota che gli ha fatto vendere tante moto. Una situazione non facile da gestire nel momento in cui eravamo entrambi in lotta per il titolo” ha detto lo spagnolo a Marca. “Ho capito che dovevano prendersi cura del loro diamante, nel senso delle vendite. Piaccia o no, nonostante i risultati e che siano trascorsi più o meno anni senza che abbia vinto il titolo, lui è ancora molto forte mediaticamente e continuerà a fare molto per le vendite del marchio. Per cui è difficile che due piloti abbiano lo stesso trattamento, in termini di situazioni estreme, di confronto e sensazioni negative nella lotta al titolo”.

Anche per questo c'è chi, come la testata iberica Gol, lancia una possibile provocazione. Non è escluso, si legge, che Rossi sia andato apposta più lento, che insomma non abbia spinto al massimo a Losail per far risaltare i tempi di Vinales e attirare su di lui pressioni, attenzioni e conseguenti condizionamenti negativi di cui approfittare quando ogni decimo fa la differenza davvero.

Un'ipotesi che appare fin troppo cervellotica ma testimonia quanto sia ancora difficile anche solo pensare a un Mondiale senza il numero 46 davanti a tutti o comunque lì fra i primi a giocarsi la vittoria e il titolo. Il Dottore, però, si alleggerisce e guarda lontano. “Non sarà la mia ultima chance – spiega –, perché correrò ancora per due stagioni. Almeno. Poi vedremo. La situazione è la stessa del passato: bisognerà aspettare per capire cosa succederà”. Perché c'è un tempo per seminare e un tempo per aspettare, che è sempre più lungo. Ma il tempo prima o poi ci riprende.

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