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Ecclestone: “Troppi soldi ai top team: non è giusto”

“La Formula 1 è una casa vecchia e la stiamo riparando” ha detto Bernie Ecclestone. “Ma non possiamo buttarla giù e ricostruirla da zero”. Il patron della F1 ha sconfessato i criteri di distribuzione del prize money, che premiano troppo i top team. E’ il segnale che la situazione è più grave del previsto.
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La Formula 1 è una casa vecchia e la stiamo riparando. Ma non possiamo buttarla giù e ricostruirla da zero”. Le ammissioni di Bernie Ecclestone, in una conferenza stampa a Sepang a metà tra il piano di rilancio e il discorso di addio anticipato, vanno oltre le dichiarazioni di principio. Il padrone della Formula 1 ha sconfessato una delle riforme principale che ha contribuito a introdurre, lo Strategy Group, con le distorte conseguenze che ha comportato in materia di distribuzione delle risorse. “Non è giusto che i top-team guadagnino così tanto” ha detto, “ma ci sono un sacco di cose ingiuste a questo mondo”.

Prize money – La Formula 1 ha generato nel 2014 oltre un miliardo di introiti. Il 63%, e dunque oltre 600 milioni solo nell’ultima stagione, va alle squadre. Il 47,5% di questa torta viene distribuito in base ai risultati: per metà in parti uguali, per metà in base alla classifica dell’ultimo campionato. L’aspetto più delicato e controverso, che ha generato le maggiori proteste da parte dei team medio-piccoli, è il CCB, il Constructors’ Championship Bonus, un montepremi separato che nel 2014 è arrivato a circa 275 milioni di dollari, e viene diviso tra Ferrari, Red Bull e McLaren, le tre scuderie con la più alta percentuale di vittorie nelle quattro stagioni precedenti al 2012. La Ferrari, poi, ha un ulteriore bonus, che ammonta al 5% del totale da distribuire, in quanto unica squadra presente a tutte le edizioni del Mondiale di F1, dal 1950. Un meccanismo cervellotico, che premia le rendite di posizione dei top team dello Strategy Group. Squadre che si ritrovano con più soldi delle altre, anche qualora dovessero ottenere risultati peggiori, e con il potere di veto sull’introduzione delle nuove regole. Solo le proposte approvate dallo Strategy Group, infatti, possono poi essere discusse nei vari meeting annuali della F1. Per questo, per il no dei grandi team, non è stata presa in considerazione l’ipotesi del budget cap, del tetto massimo di spesa, come misura riequilibrativa. In nessun altro sport, i soggetti che competono hanno un ruolo e un peso così determinante nella definizione delle regole. In nessun altro sport, una elite di competitor si trova a prendere decisioni vincolati per tutti, anche per gli avversari.

Presa di coscienza – La presa di coscienza di Ecclestone, da sempre più interessato alle ragioni del business che alle esigenze sportive di equilibrio competitivo, non può essere casuale. È un segnale d’allarme. Se Ecclestone arriva a esporsi così, vuol dire che i problemi son più gravi di quanto potrebbe apparire. Il fallimento della Caterham, la Manor iscritta con una macchina che gira come una GP2, che pagherà solo l’1% dei debiti contratti e sarà multata per altri 2 milioni per non essere scesa in pista in Australia, mettono in crisi l’intero sistema e i contratti miliardari che Ecclestone ha firmato con gli organizzatori dei gran premi e con le televisioni, cui ha promesso almeno 18 vetture sempre in pista. Ecclestone, che ha già sottolineato la sua volontà di arrivare a una Formula 1 low-cost, di una sottocategoria come la Open nella MotoGp, con telai uguali per tutti e motori forniti “chiavi in mano” per 30 milioni, meno di un decimo di quanto speso dalla Mercedes l'anno scorso, è preoccupato anche dalla situazione di Force India e Sauber, costrette a chiedere un anticipo di 10 milioni di dollari per essere in pista in Australia. “Abbiamo loro dato una sorta di prestito, ma non potremo andare avanti a farlo tutti i mesi” ha ammonito.

Calendario – Effetti preventivabili, prevedibili, dopo i fallimenti recenti delle piccole scuderie come l’HRT. Uno sport come la F1 non può reggere una distribuzione così disuguale con un parallelo aumento dei costi sempre più pronunciato, ulteriormente saliti per effetto delle power unit ibride. Un motore attuale, infatti, costa il doppio dei V8 precedenti, e le scuderie medio-piccole, che pagano i grandi costruttori per la fornitura, si devono sobbarcare spese sempre più cospicue a fronte di introiti che non le coprono del tutto. Certo, essere in F1 non è un obbligo né un dovere, se non si hanno i mezzi ci si può accontentare di correre in categorie minori, ma d’altra parte chi organizza una competizione sportiva dovrebbe garantire a tutti di partire in condizioni ragionevolmente comparabili. E in F1 non succede più. In F1 lo spettacolo ha preso il sopravvento sullo sport.

Disaffezione – Ma al pubblico questo sport non piace più. Al calo generalizzato degli ascolti televisivi si accompagna la crescente freddezza dei tifosi che disertano le tribune dei gran premi. Così gli organizzatori anche delle tappe storiche del Mondiale si ritrovano vincolati a contratti che impongono fees elevate da versare alla Formula One Management per gare da disputare di fronte a tribune sempre più vuote. Il risultato è il fallimento di Hockenheim, il GP di Germania che sparisce dal calendario perché il Nurburgring non è in grado di rimpiazzarlo per quest’anno, e non si sa se riuscirà a ospitare il gran premio dall’anno prossimo, nonostante un accordo già firmato. Il conseguente timore di e per Monza è più che giustificato. “Sarebbe terribile se Monza dovesse sparire” ha detto Ecclestone a Sepang, “ma se succederà, succederà”. E il prossimo potrebbe essere Silverstone, che nel 2009 ha firmato un accordo per ospitare il GP per 17 anni impegnandosi a versare alla FOM una cifra sempre crescente. “E’ difficile sostenere un gran premio come il nostro senza aiuto esterno, che sia del governo o di uno sceicco arabo” ha ammesso il direttore Patrick Allen, nominato a gennaio. “Senza questo tipo di aiuto, e a Silverstone non l’abbiamo, dobbiamo cercare vie alternative per fare in modo che Silverstone sopravviva. Se il governo non ci darà una mano, benché l’impianto contribuisca con 80 milioni di sterline all’economia del Northamptonshire, allora potremmo essere costretti a pensare a vie alternative, magari a sacrificare il gran premio e organizzare eventi legati al food o alla musica, perché offrire un concerto dei Rolling Stones non è così diverso dall’offrire una corsa automobilistica”. E quante nuove destinazioni serviranno? Bastano il Qatar, l’Azerbaijan (che entrerà in calendario nel 2016), il Messico? Probabilmente no, se è vero che il GP di Corea è andato in crisi in pochi anni e l’India nonostante le promesse non ce l’ha fatta a garantire un impianto per il Mondiale. Il calendario non interessa solo Ecclestone. Meno gare, infatti, vuol dire meno soldi per tutti, soprattutto per le squadre.

Quale futuro? – Il futuro, in questa Formula 1 confusa, con un padrone che non gradisce le riforme che ha introdotto, che ha sconfessato i motori ibridi, vorrebbe una F1 per sole donne e difende con entusiasmo i doppi punti nell’ultima gara, la più criticata delle toppe posticce messe l’anno scorso per restituire suspense artificiale, è sempre più grigio, sempre più difficile da decifrare. E la CVC, il venture capital che detiene la quota di maggioranza della FOM, potrebbe non rimanere a lungo. “Il loro business è comprare e vendere compagnie” ha concluso Ecclestone. “Se qualcuno dovesse presentarsi con una buona offerta, sono sicuro che venderebbero. Non potrebbero fare altrimenti”.

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