F1 2015: Marussia, Honda e le troppe eccezioni alle regole
Un'eccezione dimostra la falsità della regola. Se alla Formula 1 si applicasse il rigore di Sir Arthur Conan Doyle, una buona parte del regolamento si dovrebbe riscrivere. L'ultima conferma arriva dal meeting dello Strategy Group di giovedì. La Force India ha bocciato la richiesta della Marussia di partecipare al Mondiale 2015 con la vettura del 2014, proposta che sarebbe stata approvata solo in caso di voto unanime a favore, e di fatto escluso la scuderia dalla Formula 1. Da una parte è vero che il nuovo regolamento tecnico, soprattutto in materia di altezza e forma del muso anteriore, complica un po' la situazione. Ma l'impressione è che la ragione sia un'altra. L'impressione è che la Force India sia più che interessata a spartirsi i 45 milioni di euro che spetterebbero alla Marussia se partecipasse al Mondiale 2015 e che, alla luce dell'esclusione, Ecclestone ha promesso saranno spartiti tra gli altri team.
No alla Marussia – La decisione di concedere a una scuderia di correre con macchina e motori usurati sarà anche sbagliata, perché una competizione è tale se tutti partono in condizioni ragionevolmente comparabili e correre in Formula 1 non è un obbligo per chi non ne ha i mezzi finanziari. Ma con 45 milioni di buone ragioni per dire no, la domanda sorge spontanea: perché sulle regole non decide la FIA? E se davvero si vuole lasciare la scelta alle squadre, perché non chiedere il voto a tutte le scuderie, che sono interessate allo stesso modo alle regole del gioco, invece di interpellare solo l'elite che appartiene allo Strategy Group (Mercedes, Red Bull, Ferrari, Williams, McLaren and Force India)? In ogni caso, dal meeting di giovedì non si comprende come mai lo scorso ottobre la Caterham avesse ottenuto una deroga identica, che comunque non è bastata a salvarla dal fallimento: dall'11 marzo la Wyles Hardy & Co metterà in vendita forzata tutti gli asset, comprese le vetture 2014 e le attrezzature per i box, e in sessioni separate i beni più ingombranti, dal simulatore ai computer.
Honda, lo scandalo dei gettoni – È solo l'ultimo, e nemmeno il più evidente, il più eloquente, dei segnali che riflettono la filosofia della Formula 1. Questo che avrebbe dovuto essere l'anno della stabilizzazione dopo la rivoluzione dei motori ibridi si sta rivelando invece come l'anno del gigante dai piedi d'argilla, dei figli e figliastri, dei regolamenti sempre più cervellotici al limite della conventio ad excludendum. Per credere, chiedere alla Honda, che ancora non sa quanti “token”, quanti gettoni, può usare per sviluppare il motore. All'inizio sembrava addirittura che dovesse obbedire alle regole 2014 nel Mondiale 2015, cioè a vedersi congelata la power unit a febbraio mentre i concorrenti potevano continuare a lavorarci. Poi sembrava potesse usarne 32, come gli altri. Alla fine, la FIA ha optato per una soluzione di compromesso speciosa, fin troppo artificiosa: dovrà omologare il propulsore entro il 28 febbraio, e successivamente avrà a disposizione un numero di gettoni pari alla media di quelli ancora non utilizzati dagli altri costruttori, Mercedes, Renault e Ferrari. Una relazione pericolosa. Una follia. Perché conservare gettoni per il futuro è un vantaggio per sé, ma usarne il più possibile toglie opportunità a un rivale potenzialmente pericoloso. In quale altro sport le possibilità di un competitor dipendono dall'attività degli altri?
Verstappen e le superlicenze – E se scendiamo dal livello macro, i team, al livello individuale, i piloti, le sfumature di grigio superano di molto le cinquanta del caso letterario mondiale. In nome degli sponsor, del richiamo mediatico, la FIA accetta il rookie Verstappen, il pilota più giovane nella storia della Formula 1, che non può guidare una Cinquecento nel viale di casa ma può prendere parte al Mondiale. E poi cambia le regole per le super licenze, introduce il limite di età a diciotto anni e un sistema di punteggi per cui servono almeno 40 punti nelle categorie minori per esordire in Formula 1. Detto in altri termini: la Formula 1 ha accolto Verstappen, e subito dopo ha approvato un sistema di regole che non avrebbe permesso a Verstappen di entrare. Tutto chiaro, no? E non è finita qui, perché la Renault ha protestato per lo scarso valore riconosciuto alla World Series 3.5 rispetto ad altre serie a ruote scoperte. Perciò la FIA ha già lasciato intendere che il meccanismo si potrà cambiare, e che comunque c'è sempre la possibilità di deroghe speciali, di eccezioni da valutare volta per volta, visto che, se questa norma fosse già stata in vigore, Michael Schumacher non sarebbe potuto tornare in F1 nel 2010 e Ricciardo non avrebbe potuto debuttare l'anno dopo.
Follow the money – Tre indizi, insomma, che fanno una prova. Se la regola ha troppe eccezioni, la regola è sbagliata. Se servono troppe specificazioni per spiegarla e per capirla, allora va cambiata. Perché una norma, un principio, un regolamento, ha senso se prescinde dalle contingenze della competizione che disciplina, e soprattutto se è uguale per tutti. La Formula 1, invece, ha preso un'altra strada. Ha disegnato e sta disegnando uno sport a immagine e somiglianza di un sistema di management che mette la tradizione, la storia, i valori sportivi molto dietro le opportunità di business (vedi le difficoltà di mantenere un GP a Monza o a Hockenheim e la facilità di crearne uno in Azerbaigian). Ha plasmato e sta plasmando il circus secondo la stessa filosofia gestionale alla base della creazione dello Strategy Group, di quella stessa visione alla base della insostenibile sperequazione nella distribuzione del prize money. È una Formula 1 che vorrebbe l'ingresso di nuovi soggetti ma difende privilegi antichi e rendite di posizione, che ha portato al fallimento tutte le scuderie medio-piccole che si sono affacciate nell'ultimo lustro, dall'HRT alla Caterham. Un mondo che non ha imparato nulla dalla farsa di Indianapolis di dieci anni fa, la gara con sole sei macchine al via per il forfait di tutte le scuderie che montavano pneumatici Renault. Tre indizi che disvelano come la F1 non consideri abbastanza il valore dei team medio-piccoli, anche se senza di loro nemmeno i grandi correrebbero più. Tre indizi che illuminano l'unico principio guida della F1 moderna: follow the money.