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F1, Ferrari, in Cina solo conferme

Vettel porta la Ferrari sul podio per la terza gara di fila: non succedeva da Singapore 2013. Il suo exploit in Malesia non cambia atteggiamenti e obiettivi: vincere due o tre GP resta l’ambizione realistica delle Rosse. Raikkonen ancora bene in gara, male in qualifica. sarà ancora seconda guida di lusso?
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Tre indizi fanno una prova. La Ferrari, che non andava a podio per tre gare consecutive dal GP di Singapore del 2013, è la seconda forza del campionato. E' la squadra che più si è migliorata rispetto alla scorso anno, e i passi indietro di Williams e soprattutto Red Bull hanno fatto il resto. Il successo di Vettel in Malesia, figlio un po' della fortuna, un po' di una serie di circostanze favorevoli, non doveva, e in effetti non ha, cambiato lo scenario. Nessun eccesso di ottimismo in casa Ferrari, nessun segno di over-confidence che sarebbe tanto più fuori luogo per un team principal come Maurizio Arrivabene, cresciuto "a nebbia e tondino", con la sostanza, con i fatti, sempre davanti all'immagine e ai proclami.

Obiettivo: due vittorie – La SF15-T è una monoposto nata bene, indovinata, senza grossi difetti. L'inversione netta rispetto al 2014 si vede tanto nei dettagli macro, gli investimenti portati da Marchionne al livello delle Frecce d'Argento, quanto nella cura dei particolari micro, il serbatoio dell'olio riportato davanti al motore o il nuovo design dell'intercooler. E' una macchina solida, costante, più leggera sulle gomme rispetto alla concorrenza, e anche oggi, su un asfalto abrasivo e caldo, ma non oltre i 60° come a Sepang, con le soft i tempi di Vettel e Raikkonen non si discostavano troppo da Hamilton e Rosberg. Certo, il gap di cavalli è innegabile, e il vantaggio che nella prima metà di gara le Mercedes costruivano nel terzo settore, segnato dal rettilineo più lungo del Mondiale, toglie ogni illusione. Anche se di illusioni, in realtà, non ce ne sono mai state. "Puntiamo al massimo a vincere due gare", era e rimane l'obiettivo del Cavallino, e non è uno sterile ed esteriore esercizio di modestia. Perché la fiducia nei propri mezzi passa anche per la consapevolezza dei propri limiti, e quest'anno la Ferrari ha un tigre nel motore che può bastare per una stagione sulla falsariga del 2014 della Red Bull. Pensare di poter andare più in là sarebbe, questa sì, un'illusione, e finirebbe per rovinare il ritrovato clima di entusiasmo che si respira in squadra.

Sviluppo a lungo termine – I meriti gestionali, di indirizzo, di James Allison sono innegabili, anche se l'anima del progetto di rinascita del Cavallino ha tenuto a precisare di non aver costruito nemmeno una vite della SF15-T. Rientrato in Ferrari dopo una prima esperienza nella prima metà degli anni 2000, ha rifiutato qualunque paragone con Ross Brawn, principale artefice con Rory Byrne dell'era Schumacher, che Vettel sogna in qualche modo di emulare. Il percorso di sviluppo, ha spiegato a Autosport alla vigilia del GP, non si misura nel giro di qualche mese, la pianificazione si sviluppa nell'arco di più stagioni. "Ho cercato di guardare più avanti nel tempo seguendo una strategia a lungo temine, per essere sicuro di avere a disposizione un team di persone grazie al quale possiamo diventare sempre più forti"  ha concluso. "In tal modo si potrà sempre beneficiare dei cambiamenti che verranno apportati piuttosto che godere di progressi a breve termine".

I chiaroscuri di Raikkonen – La pianificazione della SF15-T, iniziata già alla fine di maggio, ha preso da subito una linea, una filosofia progettuale chiara. L'esperienza pregressa di Allison con Raikkonen alla Lotus ha certamente aiutato. Perché questa Ferrari, contrariamente a quella dell'anno scorso, rispecchia e asseconda le doti di guida di Iceman, che ha bisogno di configurazioni molto precise all'avantreno per esprimersi al meglio. E' una macchina di cui Raikkonen si fida, e l'ha dimostrato anche a Shanghai, nel sorpasso a Bottas alla sesta curva e in tutta la parte finale, quando ha girato con le medie sistematicamente più forte di Vettel.

La tripla di Vettel – Però chi continua a salire sul podio è il tedesco, che ha fatto innervosire Hamilton chiudendogli un po' la strada in uscita dalla corsia dei box nel cosiddetto installation lap, il giro da percorrere per prendere posto sulla griglia. Un segnale forse casuale e forse no, sicuramente di impatto psicologico. Vettel fa sentire la sua presenza, calcola, gestisce, amministra, non si avvicina troppo alle Mercedes perché sa di non avere abbastanza trazione per superarle e che scendendo sotto il secondo e mezzo di distacco perderebbe carico nel secondo settore e rovinerebbe troppo presto le gomme. Rischia solo quando anticipa la seconda sosta, si gioca il tutto per tutto, ma la scommessa stavolta non paga. Con le medie, il tedesco rallenta troppo, si mantiene sull'1.43 basso-1.44 alto con i rivali che a volte scendono sul piede dell'1.42. Si accontenta di un terzo posto in linea con gli obiettivi per questa gara, che comunque lo mantiene secondo nel Mondiale.

Gerarchia – Tre indizi, a questo punto, fanno anche più di una prova. Gli ultimi due errori in qualifica di Iceman, e l'atteggiamento in gara del tedesco, disegnano una gerarchia sempre più chiara all'interno del Cavallino. In sole tre gare, Vettel si è preso il proscenio e lo status di prima guida. Raikkonen accetterà di essere ancora la seconda guida di lusso in una scuderia con due campioni del mondo? La gerarchia che si sta creando cambierà le strategie del team? Fra una settimana, a Sakhir, avremo le prime risposte.

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