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Opinioni

Chi è Arrivabene, l’uomo cresciuto “a nebbia e tondino”

Nato a Brescia, mamma casalinga e papà operaio, che gli trasmette la passione per le corse. La storia del team principal del Cavallino. Dall’organizzazione di Wrooom agli incarichi in Philip Morris. “La Ferrari” dice, “è più importante dei piloti che la guidano”.
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La Ferrari conta più dei piloti che la guidano. La Ferrari viene prima di tutto”. La filosofia del team principal del Cavallino, Maurizio Arrivabene, è tutta qui. Bresciano tosto e concreto, di quelli che all’estetica preferiscono la sostanza, è l’uomo giusto al posto giusto per interpretare e realizzare la alla rivoluzione copernicana importa da Marchionne in Ferrari.

Nebbia e tondino – “Sono venuto su a nebbia e tondino”, racconta, tra le nebbie degli inverni bresciani e la fabbrica come fonte di reddito, con una mamma casalinga e un papà operaio che gli trasmette la passione per le corse. Un padre cresciuto con il mito della Mille Miglia, che passa per le strade della città e ricorda al figlio come Nuvolari affrontava quelle stesse curve, che lo trascinano davanti a una tv anche durante le cerimonie di famiglia per guardare almeno la partenza del gran premio. Nel 1983, poi, va a vederlo dal vivo un gran premio, a Imola. La sua prima volta su un circuito è un’epifania, una rivelazione. Passa tutto il tempo alle acque minerali, Patrese si ritira mentre è in testa con Brabham, alla fine vince Patrick Tambay sulla Ferrari che era stata di Villeneuve. Un segno del destino.

Con Wroom si vola – In quegli anni comincia a lavorare a Madonna di Campiglio, come organizzatore di eventi. È il secondo passaggio che lo porterà nell’orbita della Formula 1. Ha da sempre un debole per le sfide, per le iniziative originali: allestisce anche una squadra di football americano che si esibisce sul lago ghiacciato. È poco più di un giro di ricognizione, il preludio al suo più grande contributo alla promozione turistica della perla delle Dolomiti del Brenta: Wrooom. Le immagini di Schumacher, suo vicino di casa in Svizzera, e Valentino Rossi, che anni dopo spingerà verso la Ducati, rappresentano un irresistibile volano pubblicitario per Madonna di Campiglio e per Arrivabene che, dopo 20 anni dedicati al marketing e alle iniziative promozionali, nel 1997 entra in Philip Morris.

Philip Morris – Diventa l’uomo di punta, il trait-d’union tra il colosso del tabacco, in rapporti strettissimi con la Formula 1, e il Cavallino. Della Ferrari conosce tutto e tutti, piloti e tecnici, dirigenti e meccanici, forze e debolezze. Nel 2007 viene nominato "Vice president of global communication & promotions" e nel 2010 entra nella F1 Commission in rappresentanza di tutte le aziende sponsor della Formula 1. Di incrollabile fede juventina, ha fatto da mentore a Andrea Agnelli e nel 2012 entra da membro indipendente nel board del club bianconero. La scelta di vita matura dopo il GP di Russia dell’anno scorso. Basta una chiacchierata con il manager che ha costruito un’immagine e uno stile sull’estetica del pullover, e in 24 ore il matrimonio è fatto. “Non ho paura della sfida” ha spiegato a Leo Turrini alla vigilia del Mondiale. “Secondo me c’è una paura positiva e una paura negativa. Quella negativa ti spinge a scappare, a schivare le difficoltà. Quella positiva è la consapevolezza che le cose non saranno semplici, ma tu sei lì per affrontarle e cercare di risolverle”. Come? Innanzitutto, “basta parrocchie e parrocchiette”, si gioca tutti insieme.

Gioco di squadra – Soprannominato Iron Mau dai suoi ex dipendenti, Arrivabene è un leader che sarebbe piaciuto a Enzo Ferrari. Un motivatore che parla con la squadra e alla squadra chiede applicazione e soluzioni. Un trascinatore che lascia il muretto per andare a capire perché Raikkonen sia entrato in pista con un bullone non avvitato bene a Melbourne, che non accetta errori ma lascia il palcoscenico a chi fa il lavoro oscuro, e manda il capo meccanico Diego Ioverno a prendersi gli applausi per il successo di Vettel in Malesia. Perché non ci sono vincitori individuali, dice, “questa macchina ha 1300 padri”. E li ha difesi tutti a Sepang, dopo lo sfogo di Iceman per il mancato ingresso in Q3. “Si concentri piuttosto che criticare. Forse il team avrà sbagliato qualcosa, ma davanti a lui c'era Ericsson e dietro Hamilton, e tutti e due si sono qualificati al Q3. Kimi no”. E in gara ha tirato fuori una risposta da urlo.

Cambia tutto – Nocchiero di una nave in tempesta dopo la peggior stagione dell’era moderna, Arrivabene ha capito il momento e intravisto gli uomini e le strategie per uscire dalla selva oscura. Ha rinforzato la centralità di James Allison, l’ingegnere inglese che faceva volare Raikkonen sulla Lotus e in un anno di lavoro ha invertito la tendenza negativa della Rossa. Ha snellito tutte le procedure organizzative e cementato il team sfruttando il talento del finlandese e la positività di Vettel, voluto da Mattiacci e subito leader anche più di quanto fosse ipotizzabile.

Politica – Da esperto di marketing, non disdegna gesti che fanno parlare, come al Montmelò quando è andato a sedersi in tribuna con i tifosi in vistosa polemica con la politica di ridurre il pass per il paddock. Ma soprattutto in protesta contro una Formula 1 che sta perdendo il rapporto con gli appassionati, quegli stessi tifosi in mezzo ai quali si è tuffato a Melbourne. Gesti studiati, forti della rilevanza che la Ferrari continua ad avere, del bisogno che la Rossa ha della Formula 1, ma soprattutto della necessità che il circus ha di mantenere il Cavallino. “Non credo che ci sia qualcuno che pensi che si possa fare una gara senza la Ferrari. E anche questo fa parte del peso politico di un team. Marchionne sta lavorando durissimo per farlo crescere di nuovo e io sto con lui al cento per cento. La sua visione strategica per noi è molto importante” ha spiegato. Una visione da esercitare anche in vista della definizione delle regole per il futuro. All’orizzonte, dal momento della sua nomina particolarmente apprezzata da Niki Lauda, rimane l’alleanza strategica con la Mercedes che sembrava impossibile fino a qualche mese fa. Ma Arrivabene, arrivato sesto da copilota alla Parigi-Dakar del 1987 proprio su una Mercedes, allora come oggi non perde la bussola. A tutto c’è un limite, e quando la casa di Stoccarda si offre di fornire a tutte le scuderie i propri propulsori ibridi, incontra una risposta dal sapore solo apparentemente vintage. “Noi qui a Maranello facciamo motori, non power unit”.

I piloti – Da gestore di uomini e risorse, ha cambiato il rapporto anche con i piloti. “Sono dipendenti anche loro” ha detto in presentazione. E se ha definito la SF15-T sexy, non ha gradito che Vettel l’abbia battezzata “Eva”. “Si può dare un soprannome a tutto, ma ricordo che questa è una Ferrari”. E la Ferrari viene prima di tutto.

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