Ferrari, sfortuna, colpe e speranze nel dopo-Sepang. Ma l’impresa Mondiale resta possibile
Attaccare giocando in difesa. La Ferrari ha iniziato e concluso il weekend di Sepang sulla base dello stesso principio, il contenimento del danno. Ha evitato di rischiare il motore 4, ha confidato nei dati della telemetria poi smentiti alla prova dei fatti. Ha perso un Raikkonen notevole in qualifica, che per la prima volta chiude due gran premi consecutivi senza aver completato nemmeno un giro, e riscoperto un Vettel quasi da podio, se non fosse che sul più bello il team ha chiesto al tedesco di alzare il piede perché quel forsennato ritmo da qualifica stava producendo un consumo elevato di carburante e un degrado eccessivo delle gomme, che pure hanno tenuto più di quanto previsto anche da Pirelli (i 53 giri di Ocon con uno stesso treno di soft son lì a dimostrarlo).
La sfortuna ha una sua logica
Si può certo parlare di sfortuna, dunque. Ma la sfortuna è figlia anche di scelte, decisioni. La sfortuna si aiuta e si ostacola, ha una sua logica come diceva Johan Crujff e come aveva scoperto un economista russo di fine Ottocento dimostrando che anche un evento apparentemente imprevedibile come la morte dei soldati prussiani per colpa di un cavallo che scalcia, se studiato nel contesto di tutte le morti dei soldati si inseriva in una normale curva di Gauss. Da cavallo scalciante a Cavallino Rampante, dunque, la "legge dei piccoli numeri" rimane valida. E l'arte di vivere in difesa non si limita al solo contenimento.
Vettel fra rimpianti e nuove certezze
Il recupero di Vettel, con tanto di undercut a Bottas, è un capolavoro di guida e, nel fine settimana più nero della stagione, un lampo di strategia Ferrari vecchia maniera. Forse memori anche del GP di Barcellona, quando il finlandese finì a fare da tappo al tedesco per favorire Hamilton, il Cavallino copre la sosta di Bottas e anticipa il pit stop di Vettel per passare alle Supersoft: missione compiuta e podio sfiorato, con una striscia di 18 giri consecutivi sotto l'1'34. Un ritmo che, con una posizione più consona in griglia, avrebbe quasi certamente prodotto la quinta vittoria stagionale e una classifica mondiale meno complicata a cinque gare dalla fine.
Primo pilota ad arrivare fra i primi sei dopo essere partito ultimo a Sepang, Vettel è uomo da grandi rimonte. Ha preso il via in fondo quattro volte in carriera ed è sempre andato a punti: nel 2012 sale sul podio ad Abu Dhabi dopo il via dalla pitlane, nel 2014 chiude settimo negli Usa e l'anno scorso risale da 22mo a quinto a Singapore. Maranello lascia Sepang con la convinzione di avere una macchina dalle prestazioni motoristiche di tutto rispetto, tanto che Hamilton con una certa teatralità ma non senza veridicità ha ammesso di considerare la Mercedes terza forza del Mondiale dietro Red Bull e Ferrari.
Come si cambia…
Però il diavolo si nasconde nei dettagli, magari in un condotto difettoso come quello che ha fermato Vettel in qualifica are anche Raikkonen nel giro di installazione. Dettagli che magari sembrano marginali ma finiscono per fare la differenza. Particolari come quelli che andranno chiariti per valutare se il tedesco potrà sostituire il cambio rotto nell'incidente a gara finita con Stroll senza subire penalità in griglia a Tokyo. La Formula 1 dei troppi dettagli, dei mille cavilli, non contempla il caso in un regolamento tecnico che deve normare fin troppe situazioni e non fa che allontanare gli appassionati dallo spirito di questo sport. Questa, infatti, era la prima gara delle sei previste per la trasmissione sulla SF70H di Vettel.
Il cambio, specifica il regolamento, si può sostituire senza penalità solo sulle vetture che si ritirano nel gran premio, e che dunque non passano per le verifiche dei commissari e non vengono portate nel parco chiuso. Ma nel parc fermé non è andata nemmeno la Ferrari di Vettel, che però è classificata e non ritirata. E' il caso che i nuovi padroni di Liberty Media, che portano come da nome una sensibilità anche alle questioni di appeal, perché anche da questo passa il futuro di una disciplina che dovrebbe rappresentare il meglio, il non plus ultra anche della ricerca ingegneristica, oltre che dell'adrenalina e della passione della velocità, possano avviare un percorso di rinnovamento e semplificazione. Solo uscendo dalla prigionia dei troppi vincoli e delle esagerate zone grigie che la Formula 1 tornerà lo spettacolo che fa accelerare le emozioni.
Il destino è nelle mani del tedesco
Il contenimento dei danni porta Vettel a -34 da Hamilton. La rimonta è missione sempre più difficile, ma ancora non impossibile. Il destino è ancora nelle mani del tedesco, che vincendo tutte le ultime gare sarebbe campione del mondo indipendentemente dai piazzamenti del britannico. E non sarebbe nemmeno la prima risalita del tedesco, che nel 2012 a 10 gare dalla fine aveva 44 punti di svantaggio da Alonso, dopo un inizio di Mondiale con sette vincitori diversi nei primi sette GP e il ritiro di Monza. Poi però arrivano quattro vittorie di fila a Singapore, in Giappone, Corea e India. L'epico terzo posto di Abu Dhabi da ultimo e la risalita di Interlagos dopo il contatto al primo giro alla curva 4. Torna però sesto nel giro di otto tornate e difende la posizione nonostante la pioggia per diventare il più giovane tre volte campione del mondo di sempre.
I precedenti: Raikkonen, Prost, Surtees
Anche il trionfo di Raikkonen nel 2007 ha seguito percorsi simili a quelli che dovrebbe mantenere Vettel nel finale di questa stagione. I 20 punti di distacco di Iceman a sei gare dalla fine allora valgono come 45 se rivisti secondo l'attuale distribuzione di punti. Certo, una mano allora gliel'hanno data Alonso, che si schianta in Giappone, e Hamilton, che non rispetta la traiettoria in regime di safety car a Suzuka e finisce nella sabbia in Cina, tenuto per troppo tempo in pista nonostante l'evidente degrado delle gomme. Il problema al cambio in Brasile farà il resto.
Nel 1986, il "Professore" Prost recupera 11 punti in 2 gare (sarebbero 30 riassegnando i punti del Mondiale con l'attuale meccanismo, con Mansell che in Australia fora a 190 mph sul rettilineo Brabham e la Williams che per timore ritira anche la vettura del compagno di squadra, e terzo incomodo nella lotta per il titolo, Piquet.
Il drammatico e cinematografico 1976, col rientro di Lauda e una ragionevole prudenza che lo fa scendere dalla macchina al Fuji, è storia fin troppo nota. Forse lo è meno il recupero di John Surtees nel 1964, l'anno del suo unico titolo mondiale in Formula 1. L'ha vinto proprio in Ferrari, nonostante fosse settimo con cinque delle 10 gare da disputare con quelli che oggi sarebbero 55 punti da recuperare. La rottura del motore sulla Lotus di Clark, che a sette giri dalla fine in Messico perde olio, e il compagno di squadra Bandini che rispetta gli ordini di scuderia e si fa da parte, rendono Surtees l'unico campione del mondo sulle due ruote (ha vinto sette titoli nel Motomondiale) e in Formula 1. La storia, dunque, si può anche ripetere. Ma c'è da rischiare.