GP Italia: Ferrari, a Monza il punto più basso
La stagione sportiva peggiore degli ultimi vent'anni. I risultati economici migliori della storia. Due aspetti solo in apparenza in contraddizione nella stagione della Ferrari. Perché la Formula 1, l'ha confermato anche ieri Montezemolo, serve al Cavallino, e ai costruttori tutti, come volano della ricerca e come leva per aumentare la brand awareness e guadagnare nuove fette di mercato. Maranello ha preso una direzione chiara da subito, e non da quest'anno, con la nomina a team principal di Domenicali prima e di Mattiacci poi. Due amministratori, due gestori di risorse, due figure che hanno fatto e dato tanto dal punto di vista economico. Un discorso che vale ancor di più per Mattiacci, che nella gestione sportiva non era mai entrato prima della nomina ma ha avuto un ruolo fondamentale nell'aprire al Cavallino le porte del mercato Usa. E il grande evento di Los Angeles, con 600 Ferrari a Los Angeles e una nuova limited edition in 10 esemplari per i 60 anni del marchio, è frutto anche di quanto seminato dall'attuale team principal della scuderia.
In mezzo al guado – La gara di Monza è lo specchio di una stagione nata male, con una macchina progettata male e realizzata senza la necessaria osmosi di competenze tra motoristi e ingegneri. Ma è anche, forse soprattutto, lo specchio di una squadra che non ha saputo adattarsi alle regole che ha contribuito a scrivere e che ora cerca faticosamente di far cambiare, per quanto la reintroduzione dei test tra un GP e l'altro farebbe bene non solo alla Ferrari, ma a tutte le scuderie che potrebbero formare giovani piloti e nuove schiere di meccanici e alla Formula 1 nel suo insieme, ché manterrebbe desta l'attenzione 365 giorni l'anno. La gara di Monza è sopratutto specchio di una squadra che è rimasta in mezzo al guado senza riuscire a leggere i cambiamenti, che si è forse concentrata troppo sulla forza del blasone e della storia, che evidentemente non ha bisogno così tanto della Formula 1 per vendere più macchine. E questo, volutamente o no, ha delle conseguenze.
Astinenza record – I numeri non mentono. La Ferrari non vince da 27 gare, un'astinenza lunga come non si vedeva dagli anni '90, dai 17 Gran Premi passati tra il successo di Alesi in Canada nel 1995 e il primo trionfo targato Schumacher in Spagna l'anno successivo. E' la terza peggior serie di sempre, dopo le 59 gare senza vittorie tra il GP di Spagna del 1990 (Prost) e il GP di Germania del 1994 (Berger), e le 38 fra il trionfo di Alboreto, sempre in Germania, nel 1985 e il sigillo di Berger, ancora lui, in Giappone due anni più in là. Non solo. L'assenza di competitività si legge anche nelle 43 gare senza una Rossa in pole position, un digiuno che eguaglia la seconda peggior striscia negativa di sempre, tra il 1985 e il 1987: peggio il Cavallino ha fatto solo nell'epoca buia dei primi anni '90, quando tra una partenza al palo e l'altra son passati 60 GP.
Nessuna difesa – Non tiene neanche più la difesa dell'affidabilità, dopo che Alonso è stato tradito da un guasto per la prima volta dopo 86 Gran premi. E non basta certo il misero decimo posto di Raikkonen, che sembrava ritrovato a Spa e invece è immediatamente ricaduto nel rassegnato, insipido anonimato che ha caratterizzato tutta la prima parte del suo campionato.
I soldi non sono tutto – "Avere una Ferrari vincente in F1 è un punto non negoziabile" ha detto Marchionne, amministratore delegato di Fiat Chrysler di cui Ferrari fa parte, a margine del Workshop Ambrosetti a Cernobbio. "I risultati economici di Montezemolo sono molti buoni" ha aggiunto, "ma nel caso della Ferrari un manager deve essere valutato anche per i risultati sportivi: sono sei anni che non vinciamo, abbiamo i migliori piloti del mondo e non possiamo partire tra il settimo e il tredicesimo posto". Montezemolo è avvisato: "Il cambio di presidenza non è in agenda, ma nessuno è insostituibile". E' un messaggio chiaro. La Formula 1 deve ritornare al centro del progetto Ferrari. Per la storia. Per il blasone. Per il marchio.