GP Monaco, Mercedes e Red Bull: non spetta a noi garantire l’equità in F1
Altro che patto della concordia. Le grandi scuderie non ne vogliono saperne di una più equa redistribuzione delle risorse in Formula 1. “E' una questione per Bernie Ecclestone, non per noi” ha detto Christian Horner, il team principal della Red Bull. “Il nostro lavoro come rappresentanti delle scuderie è fare il miglior lavoro possibile, che vuol dire anche ottenere il miglior accordo possibile. È chi organizza il circuito che stabilisce a chi e come distribuire i soldi. In più” ha concluso, “oggi la squadra che finisce decima nel mondiale guadagnerà di più di quanto abbiamo ottenuto noi con il settimo posto al nostro primo anno in Formula 1, nel 2005. La torta da spartire adesso è più grande”. È la stessa visione di Toto Wolff, direttore esecutivo della Mercedes. “Pensate che sia nella nostra agenda colmare il gap tra le scuderie? Io penso di no. Io penso a vincere le corse, a vincere il mondiale, e chiunque qui dentro cerca di essere il migliore di tutti”.
La torta cresce… – Il problema, di non semplice soluzione, è che senza la concorrenza, senza un certo grado di equilibrio competitivo, lo sport non esisterebbe. Ogni squadra, ogni scuderia, ha bisogno delle altre. E l'incertezza sull'esito delle singole gare e dei mondiali è l'ingrediente principale che fa salire l'interesse dei tifosi, dei telespettatori, che fa crescere in sostanza il valore del prodotto. I dati pubblicati lo scorso ottobre, che si riferiscono alla stagione 2012, confermano le conclusioni di Horner: la “torta” adesso è più grande. La Delta 2, la compagnia azionista di maggioranza della Formula 1 Management, ha registrato per il 2012 un aumento degli introito pari all'11.8% grazie al ritorno in calendario del GP del Brahrain sospeso nel 2011 per le rivolte e i disordini interni all'Emirato, e del GP degli Usa. Gli introiti della Delta 2 derivano dalle somme pagate dagli organizzatori per ospitare i GP e dalle emittenti per acquistare i diritti di trasmissione. Nel 2012, al netto delle tasse, hanno raggiunto la cifra di 1,18 milioni di dollari. Alle squadre va il 63% di questa “torta”, che ammonta a 751,8 milioni, l'8% in più del 2011, il 202% in più del 2007 quando alle scuderie andava solo una frazione dei diritti tv. Se la torta è maggiore, se i soldi sono di più, perché adesso ci sono più scuderie a rischio fallimento di prima? Perché ci sono squadre che faticano a pagare i piloti?
…la disuguaglianza pure – In base all'ultimo Patto della Concordia, firmato dalle scuderie a luglio 2013, il 47.5% dei proventi è distribuito alle prime 10 squadre iscritte al Mondiale (quest'anno sono 10 in tutto): metà di questa fetta è diviso in parti uguali, l'altra in proporzione alla posizione in classifica. Tuttavia Ferrari, McLaren e Red Bull godono del Constructors' Championship Bonus (CCB), un premio di almeno 100 milioni di dollari, in quanto hanno ottenuto i migliori risultati nel quadriennio precedente alla firma del patto. E la Ferrari, essendo l'unica squadra presente in Formula 1 sin dalla prima edizione del Mondiale, nel 1950, ha un ulteriore premio annuale di almeno 60 milioni di dollari. È vero, dunque, che le squadre guadagnano più di prima. Ma insieme al montepremi, aumenta anche la disuguaglianza interna. E le scuderie “minori”, che hanno inviato una lettera da cui è nato l'incontro con Jean Todt del primo maggio per trovare delle misure condivise di contenimento dei costi, sentono crescere un senso di ingiustizia. Anche perché questi criteri premiano il blasone, la storia e non i risultati sportivi. Con questi criteri, l’anno scorso la Sauber, che ha chiuso l’anno con 57 punti, ha guadagnato il 10% in meno della Williams che di punti ne ha totalizzati appena 5, e la Lotus, invitata nello Strategy Group, ha ottenuto quasi il doppio dei punti della McLaren, 315 a 122, ma ha ricevuto poco più della metà dei soldi andati alla scuderia di Woking. I team di “seconda fascia” si trovano davanti a un bivio: spendere comunque il più possibile puntando al massimo al break-even, al pareggio di bilancio, con il rischio di scomparire dopo pochi anni, come è successo alla HRT o alla Spyker che ha cambiato proprietario ed è diventata Force India; o ridurre gli investimenti accontentandosi di partecipare e rendendo così il campionato più scontato. Un risultato, questo, che non farebbe bene a nessuno, nemmeno alle grandi scuderie. Perché se la Formula 1 vale meno, ci sono comunque meno soldi per tutti. E le tre squadre del CCB hanno anche la possibilità di lasciare la Formula 1 se i proventi della Delta, al netto delle tasse, scendono sotto i 715 milioni di dollari.
Modelli – Per Graeme Lowden, team principal della Marussia, la Formula 1 deve imparare dalla NFL, che ha aumentato l’equilibrio competitivo grazie all’introduzione del tetto salariale. “E’ uno sport cresciuto tantissimo negli ultimi dieci anni per due ragioni: un'equa distribuzione delle risorse e il controllo dei costi. Così la competizione è diventata più equilibrata e il pubblico si diverte di più”. Ma come ridurre i costi della Formula 1? Le squadre dello Strategy Group, il nuovo organismo designato per ideare le regole future della F1 (Red Bull Racing, Ferrari, McLaren, Mercedes, Lotus e Williams) hanno bocciato l'introduzione del tetto salariale e acceso nuove proteste di Marussia, Caterham, Force India e Sauber che si sentono penalizzate due volte, perché ricavano meno dei concorrenti e hanno anche meno voce in capitolo. Per ridurre il loro senso di deprivazione relative, ed evitare magari di vedere altri campionati già chiusi dopo cinque gare, servono nuovi criteri che rendano la distribuzione più equa senza ridurre gli incentivi per la vittoria. Già aumentare la “fetta di torta” distribuita in relazione ai risultati sarebbe un segnale, un premio maggiore agli investimenti di chi parte con meno mezzi e ottiene buoni risultati.