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Mick Schumacher: nel segno di papà

A 16 anni Mick Schumacher, figlio di Michael, ha vinto al debutto nella Formula 4 tedesca. Per ridurre la pressione, non aveva mai corso prima con il cognome del padre. Storia di un privilegiato condannato alle grandi aspettative.
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Come papà. Meglio di papà. A Oschersleben il mondo dei motori si è fermato. Nella Formula 4 tedesca ha debuttato il figlio di Michael Schumacher, il pilota che in Formula 1 ha vinto più di tutti, che è vivo ma non lo sa e chissà se mai lo saprà. E alla prima, a 16 anni, ha già vinto, più precoce anche del padre, che la prima gioia l’aveva provata a 18 anni, nel 1987, in Formula König. Nelle tre gare della prima tappa, ha corso e vinto “alla Schumacher”: rimonta dal 19° posto in griglia al 9° in gara 1, dal 20° al 12° in gara 2, poi grazie alla regola che prevede il rovesciamento dell’ordine d’arrivo sulla griglia della terza manche, si è trovato in prima fila, ha passato Preining alla prima curva, ha controllato a tre giri dalla fine l’attacco del compagno di squadra Joseph Mawson e ha tagliato il traguardo davanti a tutti ma dietro la safety car.

Nessuna dedica – Nessuna dedica all’arrivo, nessun riferimento al padre o alla famiglia, presente con nonno Rolf tra i ventimila spettatori che hanno costretto gli organizzatori a costruire una tribuna supplementare. Quel cognome è un privilegio, come il castello da 50 milioni in cui vive, e una condanna. Perché il confronto con Schumi è inevitabile, e la sconfitta assicurata: se riscrive la storia lo eguaglia, se dovesse vincere anche un Mondiale o due, ne resterebbe la copia sbiadita. Chiedere, per credere, a Damon Hill, figlio di Graham e campione del mondo 1996 (unica coppia padre-figlio ad aver conquistato entrambi un alloro iridato), che però tutti ricordano soprattutto per aver corso con il numero 0.

La prima da Schumacher – Nella vittoria di “Schumino” è scritta una storia shakesperiana, la storia di un ragazzo che aspira all’unico bene che non può ottenere, la normalità. Un ragazzo in attesa di un padre che c’è ma non c’è, e chissà se mai tornerà. Ha rinunciato al suo nome, ha rifiutato quel nome, ha corso nei kart semplicemente come Mick junior o col cognome da nubile della madre, Betsch. Ma arrivato alla scuderia Van Amersfoort, dove già aveva iniziato Verstappen jr., ha trovato come compagno di squadra Harrison Newey, figlio di quell’Adrian che ha reso Sebastian Vettel, erede di Schumi in Ferrari e “padrino” automobilistico di Mick, quattro volte campione del mondo. “Mick sbaglia poco, ha talento, preparazione intelligenza”, ha detto alla Bild il direttore del team, Rob Niessink, “ma il nome da solo non porta punti” Seppur diversa nella forma, dunque, la sostanza della domanda esistenziale di Giulietta a Romeo resta: cos’è un nome? Che vuol dire Schumacher?

Privilegi – Vuol dire la possibilità di entrare dove altri non possono, vuol dire debuttare con una monoposto a ruote scoperte con otto meccanici al seguito, mentre gli altri ne hanno al massimo uno, quando ancora non hai la patente per guidare nemmeno una Polo nel vialetto di casa, Max Verstappen insegna. Vuol dire prendersi il premio di "miglior debuttante" nonostante un italiano non ancora maggiorenne, Mattia Druidi, sia andato anche meglio (terzo, quinto, settimo): ma di lui non parla praticamente nessuno. Vuol dire una scorciatoia per la velocità, oggi per Mick e Verstappen, per Rosberg e Giuliano Alesi (che ha vinto la sua gara d'esordio in F4 francese a Ledenon), ieri per Prost e Piquet, per Andretti e Villeneuve. Vuol dire, con grosse probabilità, un futuro nella Formula 1 in cui si entra pagando e che, appena avrà acquisito i punti per la Superlicenza, potrebbe concedergli una chance al buio non per il suo talento ma per la storia che, col suo cognome, rappresenta.

Essere Schumacher jr – Non deve essere stato facile, per Mick, il debutto a Oschersleben, la pista in mezzo a una prateria vicino Magdeburgo, nella ex Germania Est. Per la prima volta, ha corso come Mick Schumacher, ma accanto a lui non c’era papà, che l’aveva sempre accompagnato a tutte le gare nei kart (è campione tedesco ed europeo, e vice-campione del mondo) ma Peter Kaiser, amico di famiglia e meccanico di fiducia. Con la tuta nera e il casco verde fluo, è come un bambino diventato uomo troppo presto. "I fotografi mi seguiranno sempre? Non hanno fatto abbastanza scatti? Sarà sempre così?" chiede alla manager Sabine Kehm, la stessa di papà Michael. “E’ il primo anno di Mick in questa categoria” ha spiegato Kehm alla Reuters. “Ha molte cose da imparare, deve fare molta esperienza, perché c’è una grande differenza tra una monoposto e il kart. Dategli tempo, non mettetegli addosso troppe aspettative, questo per lui è solo l’inizio”.

Pressione sempre – Il tempo, però, è un altro dei privilegi cui al più privilegiato dei piloti non può aspirare. È condannato all’attenzione, alle alte aspettative, a non passare mai inosservato. Come la sorella Gina Maria, di cui Schumi portava sempre un pettinino come portafortuna negli anni d’oro alla Ferrari, che ha scelto un’altra strada e altri cavalli, quelli da rodeo. È un’amazzone specializzata nella monta Western, che ha ereditato la passione da mamma Corinne, campionessa svizzera di equitazione. “Avrà una pressione enorme addosso, sempre”, lo avverte Nicki Lauda.

Affermarsi –Una pressione con cui imparare a convivere, pezzi di vita che diventano viaggio, e miraggio di un’identità da affermare: come papà, diverso da papà. Un bambino che diventa uomo, un uomo con i capelli da ragazzo che ad essere Schumacher ancora non ha fatto l’abitudine, e forse mai ce la farà. Un pilota destinato, dietro il casco che isola e nasconde, a portare pensieri pesanti, che sono già da soli tutto carico in più. Magari prima dell’incidente, quando lo accompagnava sui circuiti, Michael gli avrà detto,come Michael Jeffrey Jordan ai figli Jeff e Marcus, “dont be like Mike”, sii te stesso, non cercare di essere me. Che sarà, lo scopriremo solo vivendo. Mick, comunque, la sua gara l’ha già vinta. Ha scelto di correre, ha scelto di percorrere la strada della leggenda per essere se stesso. Ha scelto di mettersi alla prova. Comunque vada, questo è già un successo.

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