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Museo della Velocità, Alfieri: “Un racconto per temi ed emozioni”

All’Autodromo di Monza è nato il Museo della Velocità. Abbiamo intervistato Ippolito Alfieri, giornalista e fotografo, che ha sviluppato il concept. “L’esposizione non è cronologica, ma tematica” ci dice. “Sono i contenuti che fanno la differenza”.
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La velocità è concretezza e metafisica. È il parametro più concreto e insieme più suggestivo del motorsport. È correre più forte degli altri, e allo stesso tempo, come dicevano i Futuristi, è sfida, è abbattimento del limite”. È a questa visione che ha dato vita Ippolito Alfieri, che ha creato il concept del Museo della Velocità inaugurato da pochi giorni all’Autodromo di Monza.

Storia e futuro – Un recupero della memoria, ci spiega, che si inserisce nel percorso di rilancio dell’impianto. “Monza è uno dei due circuiti permanenti più antichi del mondo, l’altro è Indianapolis, e non poteva non avere un museo”. Giornalista e fotografo, editor di Automobilia (storica casa editrice nel settore auto), fondatore dell'agenzia di comunicazione Koan Moltimedia e responsabile dal 2000 al 2004 del concorso d'eleganza Villa d'Este, Alfieri ha scelto un concept un po’ diverso dalle classiche tradizioni museali. “Raccontiamo l’esperienza della velocità attraverso aree tematiche: abbiamo scelto di rappresentare i temi e abbandonare la scansione cronologica ’da museo egizio’”. Per questo, sono pochi i memorabilia. “C’è una Maserati Eldorado del 1958, la MV Agusta con cui Giacomo Agostini ha vinto il Mondiale nel 1970, un paio di Formula 1 moderne. Ma il racconto passa per la rappresentazione dei temi”.

14 box tematici – L'architettura espositiva, curata da Storage Associati di Milano e dall'architetto Marco Donati, prevede quattordici aree: categorie di auto e moto, tecnologia, motori, cockpit, piloti, sicurezza, vittorie, velocità, pneumatici, abbigliamento, media e tv, pubblico, pista, box e paddock. Ogni sezione è racchiusa in un box di due metri per due, che contiene, ci spiega Alfieri, “i materiali che abbiamo ritenuto più utili per rappresentarla. Per esempio, nel box dedicato ai motori, c’è un touchscreen che si può attivare e utilizzare per ascoltare il suono dei motori. Abbiamo anche portato un V12 Lamborghini per far apprezzare anche gli elementi tecnici, per mettere lo spettatore di fronte a un modello fisico, senza però esagerare con le specifiche tecniche”. Un’altra intuizione, ci racconta, è racchiusa nel box dedicato ai media. “Il box è diviso a metà, con due arredi diversi, così il pubblico può confrontare come si vedeva un gran premio negli anni ’50 e ’60 e come lo si può vedere oggi”. Tra gli oggetti selezionati per arricchire questa esperienza sinestetica della velocità, aggiunge l’ideatore del Museo, anche “delle tute di Clay Regazzoni, per dare subito l’immediata percezione di come siano cambiati i materiali da quei modelli che sembrano quasi in tessuto jeans a una tuta ignifuga di oggi. Però”, ci tiene a precisare, “questi oggetti rimangono incidentali nella visione complessiva dell’esperienza che cerchiamo di offrire. Perché puntiamo a un pubblico trasversale, quello che ci interessa è l’esperienza, è l’emozione”.

Tifosi da riconquistare – Ed è proprio su questo versante che si gioca il futuro del gran premio di Monza e della Formula 1 nel suo complesso. Nell’ultima settimana si sono moltiplicate le voci, Niki Lauda e Bernie Ecclestone su tutte, allarmate per la direzione che sta prendendo la regina del motorsport. Certo, le preoccupazioni per la distanza della Formula 1 dai tifosi, per quel gap che il team principal ha iconicamente provato a ridurre quando si è andato a sedere sulle tribune nei test invernali a Barcellona, hanno natura e origine diversa. Da una parte, pesa l’eccesso di regolamentazioni e di limiti che complicano la gestione della gara e che un frustratissimo Alonso ha cancellato dal suo orizzonte a Montreal con quel già memorabile “lasciatemi guidare, che già sembro un dilettante”. Eccessi che però nascono dalla ricerca di ineliminabili compromessi sui costi con le scuderie. Dall’altra, è naturale, Ecclestone guarda al business, al calo di pubblico, alle pay tv che perdono ascolti. Ma il futuro della Formula 1 è solo in un ritorno indietro?

"I piloti sono più distanti, non la F1" –Per Alfieri, che con il Museo della Velocità si propone proprio di guardare al passato per dare nuova luce al futuro dell’Autodromo, non è la nostalgia la risposta. “Io vengo da due generazioni di editori, cresciuto col fascino per la carta, ma sono il primo fautore della tecnologia e degli ebook. Non sono del tutto convinto che la Formula 1 fosse migliore qualche decennio fa, non sono d’accordo che ci sia questa distanza, almeno non nell’esperienza della fruizione: oggi ci sono possibilità di vedere, di capire quel che sta succedendo in tv che prima erano impensabili. Il distacco, semmai, e questo in effetti l’ho avvertito anche io da giornalista, è iniziato quando i piloti hanno cominciato a delegare le interviste. Ricordo benissimo che una volta dovevo Michael Schumacher ma lui mandò il suo manager, Willi Weber. E quando gli facevo una domanda, lui continuava a rispondere in prima persona: quando ho vinto il GP del Belgio… e così via. Da questo punto di vista, sì, i piloti sono molto più distanti di prima, le esternazioni sono molto più frenate, centellinate, mentre attraverso le nuove tecnologie, i canali Youtube, si potrebbe trovare un modo molto più moderno di comunicare”.

Il valore dei contenuti – E la questione, per Alfieri, non riguarda tanto la forma o i linguaggi. “Nella conferenza stampa di presentazione del museo, abbiamo mostrato con la realtà virtuale, con il sistema Oculus, un giro di pista di Fabrizio Pirovano, che aveva girato con una speciale telecamera. È partita, da quella simulazione virtuale, una discussione con Giacomo Agostini, che sottolineava come con la sua moto in gara staccava decisamente più tardi. Cosa dimostra questo? Che alla fine, sono i contenuti a fare la differenza, che il medium non è il cosa, ma il come”.

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