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Cavallino, 85 anni e poco arzillo

Il 16 novembre 1929 Enzo Ferrari fondò la sua scuderia: i primi piloti correvano con le Alfa Romeo. A Maranello la storia inizierà nel 1947. Oggi per il Cavallino (non tanto) rampante c’è una nuova rivoluzione all’orizzonte.
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Era un anno di crisi economica, come questo 2014. Era l'autunno del 1929, l'anno del crollo di Wall Street, la Borsa di New York dove Marchionne è riuscito a portare la Ferrari dopo il divorzio da Montezemolo, ultimo rappresentante di un'epoca passata scandita dalle convergenze tenute orgogliosamente parallele con la famiglia Agnelli. In quell'autunno nero, Enzo Ferrari partecipa a una cena alla Casa del Fascio organizzata dall'Automobile Club di Bologna per celebrare il record del mondo sui dieci chilometri di Umberto Baconin Borzacchini su una Maserati. È in questa Bologna di fine decennio, di Belle Epoque e di primi fermenti fascisti, nella Bologna di Leandro Arpinati dove tre anni prima i poliziotti guidati dal padre di Pasolini hanno linciato il giovane Zamboni accusato dell'attentato al Duce dopo l'inaugurazione dello stadio Littoriale, che Ferrari costruisce il suo sogno fatto di coraggio e passione per le corse. Rappresentante dell'Alfa per l'Emilia, la Romagna e le Marche, propone di fondare una scuderia per far gareggiare clienti facoltosi con le macchine del quadrifoglio verde. Detto fatto, la squadra nasce il 16 novembre 1929: i primi soci sono due fratelli, Augusto e Alfredo Caniato, commercianti di canapa di Ferrara, e Mario Tadini, che vincerà una serie lunghissima di corse in salita. Tutti, però, abbandoneranno presto.

Fermenti – È ovviamente una stagione di grande fermento, l'inizio di una storia speciale, l'avventura di una macchina speciale, che ha in sé il simbolo e il colore della passione, che ha fatto innamorare generazioni di tifosi, che ha espresso il massimo in simbiosi con piloti all'opposto metodici, calcolatori, dal “Computer” Lauda a Schumacher. Un fermento che a 85 anni da quel giorno di novembre di fine decennio, non si sente più. A una gara dalla fine di un Mondiale triste si sente la demotivazione dei piloti, la stanchezza di una squadra che per la prima volta dal 1993, salvo miracoli a Abu Dhabi, finirà senza vittorie per la prima volta dal 1993, una squadra che forse non ha più bisogno della Formula 1 per continuare a vendere auto, alla luce dei dati record in termini di fatturato e modelli acquistati nel 2014. Una squadra che oggi è a metà di un guado da cui sarà difficile uscire, all'alba di una rivoluzione dagli ostacoli certi e dai tempi, invece, più incerti che mai.

Tutto ruota intorno agli Usa – Oggi come allora, la Ferrari guarda all'America, e non solo alla Borsa. Tre indizi fanno una prova: la festa per i 60 anni a Los Angeles, la nuova limited edition presentata negli Usa, l'accordo per la fornitura dei motori alla scuderia Haas che entrerà nel Mondiale nel 2016. L'America è ancora la terra delle opportunità come negli anni Trenta quando il “Mantovano volante” Tazio Nuvolari fa impazzire New York alla Coppa Vanderbilt, la Long Island-New York del 12 ottobre 1936. Nuvolari ha già regalato al futuro Drake la prima vittoria, alla Trieste-Opicina del 15 giugno 1930, e un memorabile trionfo al Gran Premio di Germania del 1935.

Arriva il Cavallino – In queste due gare è già comparso il logo col Cavallino Rampante, simile al simbolo della città di Stoccarda, usato per la prima volta alla 24 ore di Spa-Francorshamps del 1932. È il simbolo sul biplano di Francesco Baracca, eroe della prima guerra mondiale. Allora, recita la versione più accreditata, dopo aver abbattuto il quinto aereo nemico si diventava “assi” e si metteva sul proprio mezzo l'insegna dell'ultima vittima: Bernacca avrebbe abbattuto un aereo tedesco, quasi certamente di Stoccarda. Ma secondo un'altra versione, la Germania non c'entra nulla. Il Cavallino è più semplicemente il simbolo del Piemonte Reale Cavalleria, l'unità con sede a Pinerolo di cui Francesco Baracca faceva parte. Come sia arrivato dall'aereo di un eroe di guerra ai telai delle macchine da corsa è storia nota. Ferrari conosce i genitori di Baracca, il conte Enrico e la contessa Paolina. È lei che gli dirà un giorno: “Ferrari, perché non mette sulle sue macchine il Cavallino Rampante di mio figlio? Le porterà fortuna”. Il Cavallino era e rimarrà nero; Ferrari aggiungerà solo il fondo giallo canarino che è il colore della città di Modena.

1937: addio e rinascita – Il 1937 è un anno d’oro per la Scuderia Ferrari: l’Alfa Romeo 158, l'Alfetta, vola. Ma a fine stagione la scuderia si scioglie. Enzo Ferrari viene chiamato a Milano per dirigere il reparto corse dell'Alfa Romeo, ma viene licenziato dopo un anno: la clausola è durissima: un allontanamento di 4 anni dalla corse e il divieto di ricostruire la sua scuderia. Da quel momento per Enzo Ferrari c’è un solo obiettivo: costruire una macchina in grado di battere l’Alfa Romeo. Lo farà a Maranello, dove possiede un piccolo terreno. Nel 1947 vede la luce la prima Ferrari. È lo stesso Enzo che effettua la prima prova su strada della 125S che Franco Cortese porterà alla prima vittoria nel gran premio di Roma a Caracalla il 25 maggio.

Il mito – Deve passare tutto il primo anno, poi, per vedere la Ferrari trionfare in Formula 1. A Silverstone, il 14 luglio 1951, Froilan Gonzalez riesce a precedere al traguardo il suo idolo, Juan Manuel Fangio, su Alfa Romeo. “Oggi ho ammazzato mia madre” dirà Enzo Ferrari dopo la gara. Purtroppo in questi anni hanno provato, e stanno ancora provando, a uccidere sportivamente il padre, quel Drake che ha sognato una strada, ha strappato un contratto praticamente già firmato con la Ford per evitare che le decisioni sul futuro della Ferrari si prendessero a Detroit, un uomo solo al comando che ha cambiato il mondo delle corse. Ma è il mondo delle corse che sta cambiando la sua creatura. E quel Cavallino non è più così rampante.

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