Giovinazzi e l’Italia in Formula 1: 115 piloti, 43 vittorie e un futuro da scrivere
“Queste sono le occasioni che ti possono cambiare la vita”. Così parlava Jarno Trulli in Australia, quando Antonio Giovinazzi diventava il 115mo pilota italiano in Formula 1, il primo da Interlagos 2011. Allora c'erano in pista proprio l'abruzzese, ultimo azzurro a vincere un GP e Vitantonio Liuzzi, l'ultimo a punti (sesto a Seoul nel 2010). Giovinazzi sarà al volante della Sauber anche a Shanghai, che diventa il GP numero 785 con un italiano al via, dietro solo alla Francia e alla Gran Bretagna, unica nazione con più piloti dell'Italia nella storia della Formula 1. Dal 1950, il tricolore ha sventolato in Formula 1 43 volte grazie a 15 piloti diversi, tanti quanti gli statunitensi, dietro solo ai 19 britannici. L'Italia ha festeggiato 48 pole position, 51 giri veloci, 207 piazzamenti a podio e ha soprattutto espresso il primo campione del mondo nella storia della Formula 1 moderna: Giuseppe Farina, il nipote del Pinin.
Ascari e Farina, gli unici campioni del mondo
Era al via con Luigi Fagioli nel primo GP di sempre, a Silverstone nel 1950, al volante di una Alfa Romeo 158. è subito en plein: centra pole position, giro più veloce e vittoria. Vince il titolo davanti a Fangio e passa in Ferrari nel 1952, Mondiale aperto dall'unico successo di Piero Taruffi (futuro campione alla Targa Florio e alla Mille Miglia) che anticipa di parecchi decenni l’uso delle cinture di sicurezza e del casco rigido. “Farina era un grandissimo pilota, l’uomo del coraggio che rasentava l’inverosimile” diceva il Drake. “Alla partenza e in prossimità del traguardo era capace di fare pazzie. Difatti aveva un abbonamento alle corsie d’ospedale”. Nel 1953 travolge 13 spettatori in un incidente in Argentina (Peron aveva per la prima volta concesso l'ingresso gratuito), morirà a Aiguebelle nel 1957: sta andando a Reims a vedere il Gran Premio di Francia.
Negli anni in Ferrari, Farina è l'eterno secondo dietro Alberto Ascari, due volte campione del mondo nel 1952 e nel 1953 con 11 vittorie in 17 gare in quel biennio d'oro. Muore in pista, durante i test a Monza, come il papà Antonio, scomparso in un incidente mortale mentre era in testa al GP di Francia nel 1924. Entrambi superstiziosi, entrambi hanno perso la vita a 36 anni, su una curva veloce a sinistra, e lasciato una moglie e due figli. Gli anni Cinquanta vedono anche l'unica vittoria di Fagioli e di Luigi Musso, anche due volte terzo alla Mille Miglia e vincitore della Targa Florio 1958, l'anno del suo successo a Buenos Aires. Resta una settimana in testa al Mondiale, ma non ne vede la fine: muore il 6 luglio al quinto giro del GP di Francia.
Il mito di Bandini
Tre le vittorie negli anni Sessanta. Il decennio si apre col successo, sempre in Francia, dell'ufficiale e gentiluomo Giancarlo Baghetti (21 GP in carriera) che come Farina vince all'esordio in Formula 1, partendo dodicesimo, in volata sull'americano Dan Gurney. E si chiude con Ludovico Scarfiotti, npote di uno dei fondatori della Fiat, che diventa il primo italiano a trionfare a Monza dal 1952. Ma è soprattutto l'epoca di una leggenda della Formula 1 dei pionieri, Lorenzo Bandini. “Era come un fratello maggiore, un figlio tenero, una persona cara” scrive Giorgio Terruzzi sul sito della Red Bull. “Per questo facemmo in tanti il tifo per lui. Compreso Piero Ferrari, figlio di Enzo, che ancora oggi si ritrova con qualcosa in gola a sfiorare l’argomento”. Nato in Libia, si sposta a Milano nel 1950. Va a lavorare nel garage di Goliardo Freddi, che si fa accompagnare alle corse dalla figlia Margherita. Lorenzo è il figlio maschio che Goliardo non ha mai avuto, Margherita lo sposerà dopo un primo bacio nel garage di famiglia. Al debutto in Ferrari per il Gran Premio del Belgio, il 18 giugno 1961, Margherita non c’è. I successi non sono tanti: sette podi e la vittoria di Zeltweg nel 1964, ma il patron Enzo crede in lui e gli rinnova il contratto fino al ’67, che dovrebbe essere l’anno del riscatto. Sarà l'anno della morte.
1974-1995: 24 anni di fila a punti
Zeltweg sarà il teatro anche dell'unica domenica di gloria, dell'unica vittoria in Formula 1 del gorilla di Monza, Vittorio Brambilla (1975, sotto il diluvio), che prende la metà dei punti, ma fa festa il doppio, e di Elio De Angelis, nel 1982 che chiude con 125 millesimi di vantaggio su Keke Rosberg, campione del mondo malgrado una sola vittoria a Digione, oscurata dal duello più leggendario nella storia della Formula 1. “La passione di Elio – è indubbio – fu aiutata dalle disponibilità economiche familiari” scriveva Enzo Barroni sulla Gazzetta dello Sport. “Ma se i soldi gli spianarono la strada, Elio cancellò ben presto la sua fama di “pilota con la valigia”. I successivi ingaggi e contratti furono definiti esclusivamente per i suoi meriti sportivi”.
Sono anni di scarse soddisfazioni, ma l'Italia c'è sempre, in ogni stagione. E porta almeno un pilota a punti ogni anno dal 1972 al 1995. Una striscia che si apre con il quarto posto in Spagna di Andrea De Adamich (miglior risultato in carriera) e il sesto a Silverstone di Arturo Merzario e si chiuderà 23 stagioni più in là con l'unico podio nella storia di Gianni Morbidelli, silurato dalla Footwork per far posto a Max Papis e richiamato a fine stagione per correre a Adelaide doveva aveva colto il suo primo, mezzo, punto in F1. E così, grazie a una lista di ritiri infinita, si regala il più bel giorno della carriera e firma il giorno da leggenda della piccola Footwork.
Alboreto e Patrese: i più grandi dell'era moderna
La Footwork è l'erede della Arrows che nel 1978 Riccardo Patrese, dopo un sorpasso in staccata su Jody Scheckter, tiene in testa per 28 giri a Kyalami. Dovrà ritirarsi ma basta quel primo tentativo stupire per lanciare la carriera di uno dei più grandi italiani di tutti i tempi. Accusato ingiustamente di essere responsabile dell'incidente che ha causato la morte di Ronnie Peterson, in 17 anni ha corso 256 gran premi e ne ha passati 30 in testa per almeno un giro: è l'italiano con più GP all'attivo nella storia della F1. Nel 1982 diventa il primo azzurro a imporsi a Montecarlo, dopo un ultimo giro da film. Va in testa-coda alla curva della vecchia stazione, lo passano Pironi e De Cesaris che però restano senza benzina. I commissari lo aiutano a ripartire e Patrese urla la sua gioia in un podio con quattro piloti perché Chapman spinge anche de Angelis davanti al Principe Ranieri.
L'anno successivo un errore a Imola gli fa perdere i gradi di prima guida alla Brabham, passati a Piquet: è l'unica vittoria, ricorda, che gli sia sfuggita per un suo errore. Proprio a Imola torna a vincere nel 1990, dopo una serie di stagioni complicate. È la prima vittoria italiana dopo l'unico successo di Alessandro Nannini, a Suzuka nel 1989 grazie alla squalifica di Senna dopo lo speronamento di Prost che lo porterà a studiare la vendetta l'anno dopo. Il sorpasso da brividi sul compagno di squadra Mansell in Messico nel 1991 illumina gli ultimi anni. Lascia nel 1993, in protesta con Briatore, dopo aver testimoniato la prima ascesa di Schumi, e rifiuterà la praticamente certa chiamata della Williams per sostituire Ayrton Senna dopo la tragedia al Tamburello: troppi i dubbi nel vedere un amico morire su quella che considerava la macchina più sicura del mondo per poterne prendere il posto.
È il più grande italiano che non sia mai salito in Ferrari, Patrese. Un onore toccato a Michele Alboreto, l'ultimo ad aver guidato una Rossa. Praticamente adottato da Enzo Ferrari, sfiora il titolo nel 1985 e chissà che sarebbe successo, dopo le vittorie in Canada e Germania, senza il rinvio del GP del Belgio. Ma al di là dei numeri, dei 194 gran premi con 2 pole position e 5 vittorie, è lo stile che lo mantiene nella storia. “ Sono note le mie simpatie per Michele Alboreto. E’ un giovane che guida tanto bene, con pochi errori” scriveva Enzo Ferrari, che lo considerava fra i sei migliori piloti di sempre. “E’ veloce, di bello stile: doti che mi rammentano von Trips, al quale Alboreto somiglia anche nel tratto educato e serio”.
Fisichella e Trulli gli ultimi alfieri
I numeri, infine, raccontano che appartengono alla dimensione della memoria più fresca gli unici due piloti italiani, oltre a Patrese e De Angelis, con più di 200 gran premi alle spalle. Jarno Trulli, con quel nome scandinavo (in onore di Saarinen) che portò un giornale francese ad annunciare l'arrivo “di un nuovo pilota finlandese” al suo debutto in F1, ne ha corsi 252 su Prost, Jordan, Toyota, Lotus e Renault, con cui ha trionfato a Montecarlo nel 2004. E' un pilota arcigno, capace di difendere a lungo posizioni che la macchina non merita, che oggi probabilmente avrebbe una carriera anche migliore. Ne ha corsi 229, invece, Giancarlo Fisichella, l'ultimo a far risuonare l'inno di Mameli, a Sepang nel 2006. “A metà gara c’erano settanta gradi. Un po’ di gente era bella cotta. Personalmente ho perso due chili e mezzo”. Sul giro secco e sul bagnato, scrive Giorgio Belleggia della Gazzetta dello sport, “è un razzo, e sono i due aspetti dove di un pilota conta la capacità purissima di essere veloce e la sensibilità di guida in condizioni di aderenza precaria”. Qualità che ha già mostrato anche Giovinazzi. E il cerchio si chiude.
L'Italia in Formula 1
Presenze: 784
Primo GP: Silverstone 1950 (Luigi Fagioli, Giuseppe Farina)
Piloti: 115
Vittorie: 43
Pole position: 48
Giri più veloci: 51
Podi: 207
Punti: 2019,8 (2.58 di media)
Giri in testa: 2905
I CAMPIONI DEL MONDO
1950 Farina
1952 Ascari
1953 Ascari
LE VITTORIE
13 Ascari
6 Patrese
5 Alboreto, Farina
3 Fisichella
2 De Angelis
1 Baghetti, Bandini, Brambilla, Fagioli, Musso, Nannini, Scarfiotti, Taruffi, Trulli
I PODI
37 Patrese
23 Alboreto
20 Farina
19 Fisichella
17 Ascari
11 Trulli
9 De Angelis, Nannini
8 Bandini, Patrese, Villoresi
7 Musso
6 Fagioli
5 De Cesaris, Taruffi
4 Fisichella
3 De Angelis, Capelli, Castellotti
2 Bonetto, Fabi, Maglioli, Modena, Perdisa
1 Baghetti, V.Brambilla, Giacomelli, Larini, Morbidelli, Scarfiotti, Serafini
I PIU' PRESENTI
256 Patrese
252 Trulli
229 Fisichella
208 De Cesaris
194 Alboreto
118 Martini
108 De Angelis