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GP Singapore, Ferrari: la prigionia del sogno continua

La strategia troppo conservativa costa il podio a Raikkonen e vanifica il suo spettacolare sorpasso a Hamilton. Da applausi la rimonta di Vettel, che chiude quinto. E dimostra anche l’enorme divario con le scuderie minori.
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Un continuo, costante, pervicace rinvio delle ambizioni. Una prigionia del sogno da cui il Cavallino non riesce a uscire. E' tutta così la stagione della Ferrari che a Singapore butta via un'ennesima possibilità e un podio probabile. Colpa di una strategia fin troppo conservativa. Cambia tutto alla terza sosta. Raikkonen è riuscito una decina di giri prima in uno spettacolare sorpasso in pista su Hamilton. E' terzo, il britannico fatica ad amministrare i freni che sulle Mercedes si surriscaldano con eccessiva facilità. Il campione del mondo, che ha le soft e come i primi quattro potrebbe arrivare al traguardo senza altre soste, si ferma e monta le UltraSoft a 16 giri dalla fine. E' una catena. Si ferma Ricciardo, si ferma Vettel, e ci sta, è partito ultimo, deve recuperare quante più posizioni possibile. Ma Raikkonen? Iceman è terzo, Hamilton ha perso 23 secondi, tanto si impiega tra ingresso e uscita dalla pit-lane, ha le UltraSoft che possono fargli guadagnare qualcosa nei primi giri ma non è detto che gli permettano di reggere così a lungo da permettergli di riprendere un secondo e mezzo a giro. Kimi ha le Soft, con cui Perez riesce a girare per 35 giri di fila, ma il team decide di non rischiare. Il resto è storia. Hamilton stampa il parziale record nel terzo settore, Raikkonen gli rientra dietro e non gli sarà mai abbastanza vicino da tentare l'attacco nel finale. "Non lo so se rifarei la stessa strategia, ho finito la corsa senza preoccuparmi di cosa stesse accadendo dietro di me. Forse mi sarei potuto fermare un giro prima per stare davanti a Lewis, ma la storia ormai non si cambia", commenta.

Il precedente – E a qualcuno torna in mente Abu Dhabi 2010, la scelta sbagliata di anticipare la sosta di Alonso per marcare il concorrente diretto, Webber, che si ferma anche lui prima del previsto. Si pensa a una "trappola", ma ha un problema a una gomma. Alonso resta bloccato nel traffico, Vettel ringrazia e diventa il più giovane campione del mondo nella storia della Formula 1. "La Ferrari che vorremmo sempre è quella vincente" ha detto il team principal Arrivabene, ma considerando la situazione di ieri e delle posizioni di partenza in griglia, penso che la squadra abbia lottato al massimo e fatto davvero bene".

Sempre a punti – Non può bastare la costanza di essere l'unica scuderia sempre a punti. Perché mai come oggi sta a significare la costanza nel provare a non perdere, sospesa nell'eterna incertezza fra osare e conservare, nello stressante pendolo fra il pessimismo e la noia in cui si sta trasformando questo 2016. Una Ferrari versione Tantalo, che avvicina la svolta senza mai toccarla davvero, che cambia uomini e gestione tecnica ma non cambia i risultati. Perché la precarietà che nasce dalle ambizioni frustrate e da troppo rimandate produce impazienza e letture non sempre adeguate. Come ha prodotto, per molti weekend della stagione, una macchina non così ben messa a punto al venerdì e la ricerca di una toppa frettolosa prima delle qualifiche. Ma le toppe non possono essere sempre migliori del buco.

Vettel show – Una toppa ce l'ha messa oggi anche Vettel. Un po' spento nelle ultime gare prima del podio di Monza, squaderna una gara d'attacco, che serve anche a dimenticare il nervosismo per la rottura in qualifica. Da un anno la Ferrari non vince, ma da quel 20 settembre 2015 sembra passato un secolo. Un anno fatto solo di "speranze e aspettative che hanno stressato (diciamo terrorizzato?) meccanici e ingegneri" scrive Paolo Rossi su Repubblica. Una condotta di gare, quella di Vettel, che deve cancellare anche un altro timore: il sospetto, come sottolinea Pino Allievi della Gazzetta dello Sport, che la SF16-H "sia una vettura «plafonata», termine tabù a Maranello, benché i fatti dicano proprio questo. A ogni progresso che arriva dalle simulazione e dalla galleria del vento non corrispondono i passi avanti in pista che compiono i concorrenti". E il giro ricomincia.

Fortuna non colta – L'inevitabile decisione di montare un cambio e un motore nuovi sulla vettura del tedesco, che parte già ultimo e rende dunque del tutto a costo zero la conseguente penalizzazione, avvia una gara in salita, che si mette però presto in condizioni favorevoli per le rosse. Perché la superiorità rispetto alle squadre non di prima fascia è ai limiti dell'imbarazzante (la rimonta spiega anche questo, oltre a illuminare ancora il talento del pilota), perché i problemi in partenza di Verstappen, pessimo come in Belgio, mettono anche Raikkonen nelle migliori condizioni possibili nella prima metà di gara, con Alonso a far da tappo davanti all'olandese e Iceman a staccare i primi quattro dal resto del gruppo.

Poco coraggio – Ma la fortuna va anche saputa cogliere. Vettel, capace alla fine di quattro giri sul piede dell'1'47" con le Ultrasoft vecchie di dieci giri, non basta a salvare una domenica in cui i rimpianti per un podio perso sono comunque superiori alla soddisfazione per l'ottima gara del tedesco. Il cambio di strategia annunciato per Hamilton avrebbe potuto, e forse dovuto, suggerire una gestione diversa. Continuare, non fermarsi, vuol dire essere di sicuro terzi e avere il destino nelle proprie mani. Aspettare e rientrare un giro dopo consegna il terzo posto e l'iniziativa a Hamilton, che può spingere a fondo. Ha lasciato, e non è la prima volta, che fossero i rivali a scegliere. Solo quando finalmente sceglierà, potrà cambiare il presente e il futuro del Cavallino. E finirà finalmente la prigionia del sogno. Uno di quei sogni che non fanno svegliare.

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