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Marc Marquez signore della MotoGp. Settimo mondiale, è il campione che segna un’epoca

Ha vinto il suo settimo titolo mondiale in carriera, il quinto in 6 anni di MotoGp. Ha vinto da dominatore e da calcolatore, ha dimostrato istinto e ragione. Legatissimo alla famiglia, sta imparando a gestire la popolarità. Si è preso il suo posto nella storia senza mai cedere al suo principio: nessun lavoro, nessuna ricompensa.
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Quinto mondiale vinto in sei anni di MotoGp, il settimo in carriera. Nel Sol Levante a brillare è il campione iridato spagnolo. Essere Marc Marquez, ha confessato al Mundo Deportivo, è complicato. Lui che passerebbe le domeniche senza gare sul divano a guardare il Barcellona non si sente ancora del tutto calato nei panni della star, dell'eroe sportivo che tutti fermano per una foto, un incoraggiamento, un autografo. Essere Marc Marquez significa imparare a gestire la pressione, che ti rende insicuro, che ti mette addosso dubbi e tensioni, che consuma le energie del Marc-attack, la macchina perfetta del Mondiale. “Sono fortunato per questo ad avere una grande famiglia nel paddock, che mi aiuta a distrarmi e rilassarmi” raccontava. Ha bruciato le tappe in pista, ma non fuori dalla pista. La casa a Cervera è ancora in costruzione, rivela. “Ho ancora bisogno di sentire vicini mamma, papà e mio fratello”, il pilota Alex. E comunque casa nuova è a due minuti da quella di famiglia.

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Talento e furbizia

Nelle prime gare del Mondiale, ha detto in un'intervista esclusiva a Sky, “la nostra moto era davanti a tutte, per cui potevamo fare ciò che volevamo. Poi la Ducati ha fatto qualche passo in avanti. Noi abbiamo fatto alcune modifiche al motore, solo quello, una crescita che ci ha aiutato tanto per staccare in modo diverso e gestire la gara in modo diverso”. Lo sviluppo procede un passo alla volta, per limare un decimo alla volta. I segreti, come il diavolo, è nelle pieghe dei dettagli. Marquez, il dio delle piccole cose che portano dritti verso la storia del motorsport, sente la moto come Lauda sentiva le vibrazioni della sua Ferrari 312-T. Un corpo-macchina, che registra ogni segnale, ogni cambio di marcia, ogni variazione di traiettoria. Un unico obiettivo, la ricerca del limite.

Il battito di ogni pilota, che si accende quando il motore vibra e urla, quando il metallo si tende e si va dritti nella tempesta, a tutto gas nella danger zone, l'ha forgiato e completato con la tenace applicazione della formica che porta disegnata sui caschi. Piacere gli interessa, “mi sento più a mio agio se la gente mi accetta per quello che sono” diceva alla rivista Icon. E Marquez è così, è due anime: è il ragazzo dal sorriso facile sempre incollato sul viso che ha scelto subito che fare e da che parte stare, è il campione freddo votato a battere tutti. E lì, quando c'è da competere, non c'è simpatia che tenga. “Devi essere intelligente, ma se non sei furbo…” confessava a Sandro Donato Grosso di Sky. Se non sei furbo non vinci sette gare in un anno, come non gli succedeva dal 2014, non diventi il primo pilota a centrare una pole partendo dalla Q1, non vinci tre Mondiali di fila. Non diventi Marc Marquez.

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Definisce un'era

Marquez, ha detto il 24 volte campione del mondo di Trial Toni Bou in un'intervista sul sito Repsol, “non ha limiti. Ha un plus che altri non hanno, e nemmeno lui sa quanto lontano possa ancora andare. Lo scopriremo solo negli anni a venire”. Jorge Martínez ‘Aspar’, manager del team Nieto, sempre intervistato per il sito dello sponsor del team del Cabroncito, ha parlato di Marquez come di un'icona che sta definendo un'era. “Sta creando il suo stile, un modo diverso di guidare. È un gradino davanti a tutti. È chiaramente il punto di riferimento nel Mondiale”.

Il segreto dei salvataggi

Quel modo di guidare, quel modo di tenere la moto su anche quando la gravità sembra spingerla giù, “fa sembrare tutti noi piloti Honda degli idioti” ha ammesso Crutchlow. “Lui salva la moto 15 volte a weekend, mentre noi cadiamo. Guida in modo diverso, la maggior parte dei piloti restano più centrali sulla moto. Lui no, si muove, poi mette gomiti e ginocchia a terra”. È uno stile naturale, incastonato sulla Honda di quest'anno che, spiegava il britannico, è fantastica in frenata ma non ha troppo grip al posteriore con il rischio di staccare duro e surriscaldare la gomma davanti. “Ha migliorato la sua tecnica” spiegava Rossi a inizio anno in una lunga intervista a Riders. “Non posso dire se sia naturale o se ci abbia lavorato ma mette il corpo tra la moto e l'asfalto e lo usa per non cadere. Penso che la Honda comunque lo aiuti: è fatta in un modo che quando la ruota davanti si chiude continua comunque ad appoggiare. La Yamaha, invece, se chiude la ruota davanti, tocca la carena e non la tiri più su”.

Un 2018 da incorniciare

Rossi, il suo antico idolo, gli ha fatto scattare l'unico delirio di onnipotenza della stagione, in Argentina, alla fine di una gara bagnata, caotica, surreale nella partenza rimandata, poi improvvisata lasciando a Miller tre file di vantaggio. Marquez spegne la moto, la riaccende e si rimette in posizione, una furbata non sanzionata. Lo sarà, invece, il contatto con Rossi a tre giri dalla fine, una prepotenza inutile perché, ammette anche Galbusera, se avesse aspettato un'altra curva l'avrebbe passato comunque. La toppa, il tentativo di inscenare un'artificiale e forzata riappacificazione con stretta di mano a beneficio di telecamera, sarebbe peggio del buco. Il Dottore, che problemi con lui in pista non ne ha ma fuori dalla pista preferisce stargli lontano, rifiuta. Insieme alla caduta al Mugello, la prevaricazione delle regole di Termas de Rio Hondo resta l'unica ombra su una stagione di scintillante bellezza.

Da staccare e conservare la vittoria a Jerez, dove diverte e si diverte, si salva anche da una scodata che avrebbe messo ko chiunque altro e trionfa senza dare segni di debolezza su una pista che nemmeno gli piace troppo. In Austria prova a vincere ma si amministra, a Austin gli bastano poche curve per dichiarare che non ce ne sarebbe stato per nessuno. A Le Mans vince di controllo, fa sfogare gli avversari poi via via li riprende e firma la terza vittoria di fila (non gli riusciva dal 2014), al Montmelo si accontenta di un secondo posto da ragioniere, al Sachsenring (centesima gara in MotoGP) e a Misano squaderna il suo talento da purosangue, un repertorio da fenomeno cui aggiunge nella terra dei motori la caduta in qualifica con ritorno ai box in due minuti per inseguire ancora la pole. Accende il duello con Dovizioso ad Aragon e Buriram, ma niente supera lo spettacolo degli ultimi quattro giri ad Assen. "Sembrava la Moto3, una lotta continua e tutti si sono toccati con tutti" dirà.

Ha vinto gare da cuori d'avventura e gran premi per ragionatori, ha spinto il confine tra ragione e passione in un luogo che nessuno dei rivali conosce e può raggiungere.

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La prossima sfida

Marquez il guerriero conosce la prima legge dei grandi, tieni i nemici più vicini degli amici. Preferisce che il concorrente per il Mondiale abbia la sua stessa moto, gli piace avere accanto un pilota forte. La sfida interna con Lorenzo sarà il tema al centro della narrazione della stagione 2019. Potrebbe così ripetersi il tratto delle due stagioni con Pedrosa, 2013 e 2014, un team con due due moto, per due piloti con stili e caratteri diversi. Litigavano, anche molto, ma si rispettavano. È questione di obiettivi, di traguardi comuni. “Nessun lavoro” ha sempre detto, “nessuna ricompensa”. In questo, essere Marc Marquez non sembra poi così complicato.

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