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Michael Schumacher, l’uomo e il campione

Esattamente vent’anni fa, il 13 novembre 1994, Michael Schumacher vinceva il suo primo titolo mondiale. Storia di un uomo semplice diventato leggenda.
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Non riesco a concepire i miei giorni senza il piacere della sfida”. A vent'anni dal suo primo titolo mondiale, il senso della vita di un campione che corse due volte, di un uomo che vive due volte, è tutto qui. Michael Schumacher ha dribblato la morte a 300 all'ora per quel piacere, ha lasciato la F1 ed è tornato in F1 per quel piacere. Da allora la leggenda si è fatta uomo, il campione all'apparenza freddo è diventato più simpatico, come il tennista Jimmy Connors, quando si è fatto vecchio e ha iniziato a perdere un po' di più. E nel momento più buio, nel sonno del coma, l'affetto è tracimato.

L'inizio del mito – Come tutte le storie degli uomini straordinari, la sua è intessuta di fili premonitori, di segnali che tratteggiano un percorso, di luoghi che sembrano casuali ma casuali non sono. Puntini rossi sulla linea del tempo come Kerpen, nella piana boscosa a ovest di Colonia, dove nel 1940 passarono i panzer di vin Runstedt lanciati nella loro ideale guerra lampo, crocevia delle autostrade che puntano verso Amsterdam, Maastricht, Liegi e Bruxelles. È il luogo degli affetti, la casa di nonna Anna e del kartodromo di famiglia, dove Michael inizia a correre a quattro anni con il fratello Ralf, che già prova a tre anni, e l'amico di sempre Beppi Hantscher, passato poi capo-officina nel kartodromo dove Schumi ha conservato anche il minibolide della bionda Andrea, la sua prima fidanzata, che morì in un incidente durante una corsa. Tutti coi cuscini decorativi del salotto sotto il posto di guida troppo grande. La competizione si sente già allora, quando in palio non c'è nulla, ma Schumi è testardo fin da piccolo, Ralf lo inizia a chiamare per questo Besserwisser, saputello. Insieme, i due si iscrivono a una scuderia del Lussemburgo, perché in Germania si può guidare un kart solo dai 14 anni. Kerpen è il luogo del destino, all'incrocio fra la Germania, che ha prodotto grandi macchine ma non ha mai avuto un campione fino ad allora, e il Belgio. Il Belgio di Nivelles, la pista dove il piccolo Schumi si innamora di Senna nel 1980, il Belgio di Spa dove Schumi debutta in Formula 1 perché un pilota belga, Bertrand Gachot, viene alle mani con un tassista e dove vince la sua prima gara sul circuito da tutti considerato l'università della Formula 1. La geografia diventa storia. Il caso, l'opportunità si fanno strumenti del destino.

Il primo Mondiale – Per un campione che apre un'era, che segna un'epoca (7 titoli mondiali in 11 anni), quel destino non può che materializzarsi nella stagione che spacca in due l'era moderna della Formula 1. Perché c'è un prima di Imola 1994, e c'è un dopo Imola 1994. Il prima era di Prost e di Senna, senza andare troppo indietro. Dallo schianto alla curva del Tamburello, dal giorno in cui il Brasile perse un eroe nazionale che, piace pensarlo, ha guidato e un po' cambiato il destino della nazionale verdeoro a Pasadena, il dopo sarà di Michael Schumacher. E nell'anno delle morti che aprono gli occhi sulla sicurezza, è un incidente a chiudere il Mondiale e segnare l'inizio della lunga rivalità con Damon Hill. I due non potrebbero essere più diversi. Schumi è il giovane rampante che si fa largo senza paura, senza nessuna reverenza (Senna già lo marcava stretto, lo rimproverò anche per una doppia partenza nel GP di Francia del 1992). Hill è un trentenne riservato, pacato, tutto corse e famiglia, catapultato verso la gloria. Ha un punto di svantaggio, Hill, alla vigilia di quell'ultima gara, a Adelaide. Al 36mo giro il tedesco tocca il muretto in una curva cieca, rientra mentre Hill tenta di passarlo all'interno nella successiva curva a destra e chiude la traiettoria tanto da scontrarsi con la Williams del rivale. La Benetton, andata all'asta lo scorso novembre, si ribalta. La Williams rientra ai box ma ha la sospensione troppo danneggiata. Il titolo è di Schumacher, che la tendenza ad andare oltre il consentito se messo alle strette non l'ha mai persa del tutto, e lo speronamento a Villeneuve a Jerez che gli costò il Mondiale '97 è lì a provarlo.

La Ferrari – E' il suo secondo anno in Ferrari, quello dello scontro, più intenzionale che non, con il figlio di Gilles, il pilota più amato dal Drake. È arrivato nel '96, a vent'anni dal diluvio di Fuji e dall'addio di Lauda. E come Lauda, è un “computer”, attento al particolare più insignificante, metodico ai limiti del maniacale e anche oltre; istinto e talento al servizio della vittoria, a ogni costo, con ogni mezzo, cercando di spingere il limite più in là anche nei momenti di massimo sforzo, quando comunque suggeriva via radio qualche modifica all'assetto da preparare al prossimo pit stop. Come Lauda viene accolto freddamente, “è una persona carissima, nel senso che costa caro, anzi di più” dirà il caustico Gianni Agnelli: ma l'investimento sarà ripagato eccome, e l'Avvocato lo sapeva. Come a Lauda gli rinfacciano i momenti in cui l'uomo trascende il computer, quando la paura di perdere e la voglia di vincere un Mondiale da troppo atteso si traducono in errori difficilmente spiegabili: il tamponamento contro la McLaren del lentissimo Coulthard a Spa e la partenza sbagliata a Suzuka nel 1998, l'infortunio di Silverstone l'anno dopo. Gli danno dell'antipatico, gli rinfacciano che non parla l'italiano. Ma Scumi vuole farsi accettare solo e soltanto come pilota, è un uomo geloso della sua vita privata e delle sue emozioni, che si è fatto amare da chi non appare, da meccanici, tecnici, maestranze, che ha fatto sentire parte integrante e indispensabile di una storia di successi irripetibile.

Non ha tradito il bambino per l'uomo – Curioso di natura, si interessa di tutto, non ha mai smesso di innovare, di ricercare, di migliorare. Uno dei primi in Formula 1 a frenare con la sinistra, come nei kart, ha fatto la differenza nella lettura tattica delle corse, una dote che ha acquisito nel Mondiale Gruppo C 1990-91 con la Mercedes. È lì che ha capito come cuore e alte prestazioni non bastano per vincere. Ha dovuto sacrificare l'emozione per raggiungere la perfezione: cinque titoli consecutivi, dal 2000 al 2004, il secondo posto del 2006 quando lascia la Ferrari a 37 anni dando comunque una lezione al successore, il ventiseienne Kimi Raikkonen. E anche nell'addio, che poi diventerà un arrivederci, mantiene quella sua orgogliosa e innata ritrosia di campione miliardario che non ha mai tradito il bambino per l'uomo. Incapace di dimenticare di essere nato in una modesta casetta sotto il viadotto di Kerpen, è stato avaro anche con se stesso, con la sua immagine. Al contrario di Senna che, ricchissimo di famiglia, amava i pensieri sofisticati e le dichiarazioni da asceta, Schumi manteneva davanti alle telecamere una gestualità contenuta, ripetitiva. E nascondeva dietro l'immagine pubblica così severa, così teutonica, la generosità dell'uomo che dona milioni di dollari alle vittime dell'alluvione in Germania e ai sopravvissuti dello tsunami, che per mesi resta vicino al giornalista di Mediaset, Pepi Cereda, grande appassionato della Ferrari cui raccontava le gare che non poteva più seguire.

Nuove sfide – Adesso il campione che non sa vivere senza il gusto della sfida, che ha scansato la morte per oltre un decennio in pista, e che poi l'ha quasi trovata la morte, in un appuntamento inatteso su una pista da sci, ha davanti adesso altre sfide: ritrovare la respirazione autonoma, la deglutizione, la stazione eretta, linguaggio. Le sfide normali degli uomini straordinari.

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