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GP Gran Bretagna: Ferrari, naufragio a Silverstone

Vengono al pettine tutte le difficoltà della Ferrari. Il Cavallino è indietro rispetto alla Red Bull dal punto di vista aerodinamico. L’approccio mentale alla stagione si sta rivelando controproducente. Il rinnovo di Raikkonen è una scelta di stabilità verso un 2017 pieno di incognite.
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Addio sogni di gloria. Addio castelli in aria. Metà stagione è ormai passata, la Ferrari non ha risolto i vecchi difetti e ne mostra ancora di nuovi. Silverstone, ancor più del Montmelò, diventa un brusco richiamo alla realtà per un Cavallino poco rampante e ormai terza forza del Mondiale, anche dietro la Red Bull che appena ha potenziato il motore ha mostrato progressi evidenti. Preoccupa soprattutto l'affidabilità di una vettura ancora difficile da guidare, con parecchio sovrasterzo in curva. La ricerca della prestazione si è spinta e si spinge probabilmente oltre gli effettivi limiti limiti progettuali di una monoposto che si sta rivelando quasi impossibile da mettere perfettamente a punto. Non è una novità che il tracciato inglese non si adatti alle caratteristiche della Rossa, ma né Raikkonen né un sempre più anonimo Vettel, che ha pagato la poca affidabilità di una Ferrari a corrente alternata, hanno mai dato l'impressione di poter invertire la rotta, o almeno mascherare i problemi.

Manca trazione – Alla SF16H, costretta al solito inseguimento, a disperati tentativi di stupire per colmare un gap impossibile nella fretta di agganciare una vittoria ogni volta più lontana, manca trazione in uscita dalle curve. I problemi sono ormai stabilizzati, l'aerodinamica e il telaio mettono il Cavallino in posizione di minorità rispetto alle Frecce d'Argento e alle intuizioni progettistiche di Newey. Certo, la Ferrari viaggia meglio del 2015 in assoluto, ma la concorrenza non sta a guardare. E quando si prendono due secondi in qualifica, come ieri, non c'è speranza che tenga. Restano solo domande senza risposta, su questo che avrebbe dovuto essere l'anno buono e si rivela solo un'altra amara stagione di transizione in attesa della rivoluzione tecnica del 2017 che potrebbe sparigliare qualcuna delle gerarchie ormai definite.

Aspettative eccessive – C'è stato, di sicuro, a inizio stagione, un entusiasmo eccessivo e prematuro. L'Australia ha illuso e il richiamo alla realtà è diventato sempre più doloroso, difficile da accettare. La Mercedes è partita prima nella progettazione dei motori ibridi e con questa tecnologia, con questa esperienza, ha riempito le strade d'Europa e monopolizzato la Formula 1. Per invertire la rotta, per scalfire un monopolio figlio della cultura organizzativa tedesca, serve tempo e pazienza. Non serve la fretta di chi sente di non avere seconde chance, di chi è chiamato a imprese irrealistiche per mantenere il posto. La paura di sbagliare fa commettere solo più errori. E' il momento di investire su quello che si ha, sulle esperienze condivise, su un capitale di squadra da non disperdere nella voglia di fare adesso quel che ora ridefinirebbe i canoni dell'impossibile.

Armonia e pazienza – Sergio Marchionne ha voluto al timone del gruppo motoristi Mattia Binotto, che sulla power unit ha fatto un ottimo lavoro per avvicinare le Mercedes. Ma una vettura di Formula 1, chiunque sia il pilota cui poi viene affidata, è un puzzle complesso, da comporre con armonia e soprattutto pazienza: due aspetti, soprattutto il secondo, che nella Ferrari di oggi cominciano a scarseggiare.

Medio periodo – La lotta contro le Frecce d'Argento ha bisogno di tempo e di fatti, non di annunci roboanti, non delle promesse di una Ferrari in corsa già quest'anno per il Mondiale, che creano solo aspettative troppo alte e timori ingiustificati di fare la scelta sbagliata al momento sbagliato: ingiustificati perché, alla fine, portano proprio a prendere decisioni che si rivelano errate nei tempi meno opportuni. In Ferrari è allora il caso di ragionare sul medio-lungo periodo, sul 2018 come momento realistico per vedere il Cavallino davvero in pista per la corona iridata. Ma le scelte strategiche della direzione sportiva passano anche per la politica più ad ampio raggio del gruppo FCA, di cui la Ferrari rappresenta il principale capitale di immagine da spendere, il volto lussuoso e luccicante del modello industriale di Marchionne, chiamato adesso a una sfida tecnologica complessiva.

Il rinnovo di Raikkonen – E in questa ottica, si può spiegare anche una scelta di stabilità, la conferma di Raikkonen, un punto fermo mentre intorno tutto passa, tutto cambia, si provano le gomme larghe, i regolamenti si riscrivono, le strategie si reinventano. Ancora una volta. Una mossa quasi inevitabile, dopo i rifiuti più o meno decisi, più o meno eleganti, di Dani Ricciardo e Carlos Sainz, due strade impraticabili per diverse ragioni. Scegliere l'australiano avrebbe significato portare una "prima guida" che difficilmente avrebbe accettato un ruolo che, come da tradizione in Ferrari, sarebbe stato quello dello scudiero fedele, per di più di un compagno di squadra con cui proprio per le stesse ragioni ha avuto storie più che tese in Red Bull. Chiamare lo spagnolo avrebbe voluto dire abdicare a un pezzo significativo dell'identità Ferrari, rinunciare al paradigma di identificazione dei piloti giusti in base alle prestazioni e ritrovarsi subalterni alle esigenze dello sponsor bancario spagnolo.

Garanzia per il futuro – Nella situazione in cui si trova la Ferrari, la priorità è un'altra. L'esigenza di sviluppare la macchina per questa stagione e per la prossima è troppo importante per aggiungere un'altra variabile incontrollabile al presente e al futuro, a un campionato da portare a termine nel modo più dignitoso e competitivo possibile e a un Mondiale, il prossimo, da affrontare già con tante domande e poche certezze. Il Cavallino non si può permettere anche una guerra interna fra piloti come la Mercedes, talmente superiore alla concorrenza da trasformare il duello interno, quando non diventa auto-lesionismo, in un'opportunità. Raikkonen, il più anziano in pista, è una garanzia di sicurezza, la strada vecchia che sai dove porta, nel bene e nel male, la presenza affidabile su una vettura complessa da gestire.

Stabilità – Non sarà un campione emergente come Verstappen, non avrà l'irruenza e il volto pulito di un Wehrlein né la simpatia trascinante in pista e fuori di Ricciardo. Ma dopo i no, la Ferrari deve anche venire a patti con la realtà: l'appeal a volte non basta. Il Cavallino ha provato a scegliere ma ha finito, ancora, per farsi scegliere. E sì sono ancora loro, Vettel e Raikkonen, i migliori che abbiamo.

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