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Maledizione Marussia, dalla De Villota a Bianchi: una lunga scia di lacrime

L’11 ottobre 2013, viene trovata morta Maria de Villota. Aveva perso un occhio al volante di una Marussia andando a sbattere contro un camion nel 2012. La notizia sconvolse il paddock di Suzuka. Un anno dopo, il tragico incidente di Bianchi.
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"Credo nel destino. Sono convinta che tutto questo è accaduto per un motivo ben preciso". Così parlava Maria de Villota un anno dopo l'incidente che le è costato l'occhio destro. "Se potessi tornare indietro? No, non cambierei la mia vita. Ho lottato per quello che amo, il mondo dei motori. Porto sul mio corpo le conseguenze della mia scelta, sono molto orgogliosa della mia storia". Una storia che si è chiusa con la notizia della sua morte, in una stanza dell'Hotel Congresos a Siviglia, esattamente 12 mesi fa, l'11 ottobre 2013. Una notizia che ha sconvolto allora il paddock di Suzuka. E sembra esserci un filo tragico che unisce la sua storia e l'incidente di Jules Bianchi. Perché anche Maria De Villota era al volante di una Marussia il giorno che la sua vita è cambiata. Il giorno dell'incidente che, anche se solo indirettamente, l'ha portata alla morte.

L'incidente –  Il 3 luglio 2012 Maria de Villota, figlia dell'ex pilota Emilio Villota (15 GP corsi con Williams, Brabham, McLaren e March senza mai andare a punti) sta testando una Marussia sul rettilineo della pista di Duxford, un eliporto inglese. E' la prima volta che sale sulla MR-01. L’ultima istantanea di quel giorno al volante della Marussia, però, è il suo casco distrutto, trafitto da una lama tra mentoniera e lato destro. Al termine dell’installation lap, mentre rientra ai box, va a sbattere contro un camion di supporto della scuderia, che non avrebbe dovuto essere lì, e che ancora più inspiegabilmente ha la pedana aperta, che colpisce de Villota alla gola. E' un incidente come non se ne vedevano da tempo in Formula 1. La spagnola viene immediatamente soccorsa e trasportata in ospedale dall'East of England Ambulance Service. L'intervento dei medici dell'equipe di di Addenbrooke a Cambridge dura tutta la notte. A causa delle ferite riportate, Maria perde non solo l'occhio destro. Non ha più olfatto e la parte destra della testa rimane senza più sensibilità.  "La prima volta che mi sono guardata allo specchio – ha raccontato – ho pensato ‘chi mi vorrà così?' Adesso invece quando mi specchio il mio aspetto mi dice chi è Maria de Villota".

La vita è un regalo – L'11 ottobre 2013 Maria era a Siviglia per presentare il suo libro, "La vita è un regalo". E' la storia di una donna che visse due volte, che non ha perso il sorriso nemmeno dopo aver visto in faccia la morte. Ma chi era Maria de Villota? Il padre, dopo le esperienze non certo memorabili in F1, ha fondato la prima scuola per piloti in Spagna: da lì passeranno Carlos Sainz, Pedro Martínez de la Rosa, i fratelli Marc e Jordi Gené e Fernando Alonso. Maria convive da sempre con i motori. Si veste da pilota a carnevale e riceve il primo kart a sei anni. Corre per la prima volta a 16 anni, con la tuta e il casco del padre, a Cuba, a margine di una corsa tra ex piloti (ci sono anche Arturo Merzario, Clay Regazzoni, René Arnoux) e fa il miglior tempo. Non finisce la gara, ma a Cuba inizia tutto. Inizia il Campionato Master Internazionale e le apre le porte di un reality show patrocinato dalla Movistar per scegliere un pilota da mandare al Campionato spagnolo di Formula Toyota. Maria è l'unica ragazza su 2500 aspiranti piloti. L'esperienza però non va come vorrebbe, il programma si interrompe presto e Maria torna a correre nella scuderia Teyco, insieme al fratello. Conosciuta al liceo come "Maria delle macchine", ma il suo primo anno è più che anonimo. Maria però non si perde d'animo e alla seconda stagione le cose migliorano. Nel 2004 arriva al podio in Formula 3, prima donna in Spagna ad arrivarci. E corre le 24 ore di Daytona con Luis Monzón, che le suggerisce di lasciar perdere la Formula 1 e darsi al GT. A risolvere i dubbi, una telefonata. «Ti abbiamo visto alla Daytona, ti vogliamo con noi alla Ferrari Challenge Europa». Passa quindi alla scuderia austriaca Maurer Motorsport e corre per la Ferrari nel campionato di Spagna. Partecipa anche alla Formula Superleague, la serie composta sa scuderie sponsorizzate da squadre di calcio: a chiamarla è l'Atletico Madrid, la squadra per cui fa il tifo. Chiude la stagione con un quarto posto al Nurburgring come miglior risultato. Nel 2011 incontra Bernie Ecclestone al GP di Valencia e iniziano manovre in low profile con Eric Boullier e la Lotus per un primo test in F1. Il 3 agosto 2011 è il gran giorno. «Non so spiegarvi quello che provai durante quei 300 km, la durata di un GP, dentro alla Formula 1 della Lotus quel giorno. La mescolanza di concentrazione ed estasi che provai, se riuscissi a descriverla, sarei una scrittrice», scriverà nel suo libro. «Buon lavoro, María, ti vogliamo con noi in F1» le dicono al telefono mentre passeggia per Madrid. Il sogno comincia. Nel gennaio 2012 firma il contratto con Mark Blundell, ex pilota, che chiude l’accordo con la scuderia Marussia come pilota collaudatrice di Formula 1. Il 2 luglio 2012 la chiamano per un test aerodinamico a Duxford prima del GP di Silverstone. La sera prima, Maria passa la serata con la sorella Isa. La mattina del test indossa il suo casco nuovo, con allegre linee gialle e arancioni. Quella volta, però, non c'è la mamma che, come faceva sempre con il marito prima e con Maria poi, inaugura ogni casco nuovo facendo scivolare all'interno un pezzo del manto della Madonna. 

Il messaggio – Dopo l'incidente, l'anno scorso era anche tornata nel paddock, per il GP di Spagna. "Quando qualcosa irrompe nella tua vita in questa maniera, ti accorgi di avere una seconda opportunità, ti dimentichi di quelle cose che in precedenza vedevi come problemi e ti occupi di vivere la vita in maniera più completa. Ho cambiato i miei orizzonti e le mie aspettative. Alla fine la paura svanisce" raccontava.

Tragiche fatalità – Tra quel camion nel posto sbagliato al momento sbagliato e la ruspa contro cui si è schiantato Jules Bianchi passa un legame di forza simbolica e tragica. C'è una scuderia segnata dalle fatalità del destino, una pista, quella di Suzuka, di quelle di vecchia generazione in cui la ricerca della velocità è anche sfida al pericolo, e un Paese, il Giappone, abituato alle calamità. E lo shock della Formula 1 per la successione di casualità fortuite e di scelte incomprensibili che ha portato Bianchi sospeso tra la vita e la morte con “danno assonale diffuso”, ovvero un danno cerebrale post-traumatico molto frequente in caso di incidenti con forte decelerazione. non è ancora passato. I medici spiegano che le percentuali di recupero da questo tipo di traumi non sono incoraggianti e che ci vorrà parecchio tempo prima di scoprire quanto il cervello del pilota sia stato danneggiato e se c'è rischio di paralisi. "Di solito ci vuole almeno un mese prima di dare una prognosi in questi casi, ma potrebbe volerci di più". ha dichiarato lo specialista giapponese Shinji Nagahiro. E a Sochi, nel weekend, i piloti hanno deciso di correre portando sul casco l'adesivo "Tutti con Jules #17″. L’idea è di Jean-Eric Vergne, il francese della Toro Rosso, come segno di vicinanza alla famiglia. "Il nostro pensiero", ha detto Alonso, "è con Jules. Siamo tutti con lui".

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