F1 2014, dalla rivoluzione alla crisi
Hamilton e Rosberg, gli amici-rivali, si preparano all'ultima battaglia di una "guerra fredda" diventata incandescente dopo Monaco e Spa. Si giocano il Mondiale a Abu Dhabi, la prima gara con il doppio dei punti in palio. Un'innovazione che sembra già in discussione, però, e che potrebbe essere cancellata già l'anno prossimo. E' una perfetta sintesi di quello che avrebbe dovuto essere il primo anno della rivoluzione, e si è invece trasformato nell'anno della crisi. Le 18 macchine al via a Austin, la crisi di Marussia e Caterham, che col crowdfunding ha trovato le risorse per essere al via a Abu Dhabi, le difficoltà della Sauber che affida i volanti per il 2015 a chi porta più sponsor, danno la misura dell'insostenibile leggerezza con cui si è guardato negli ultimi anni al problema dei costi e delle sperequazioni. Il sistema non può più sopravvivere come prima. Perché per mettere in scena l'Amleto non basta il re di Danimarca e il teschio, servono anche Rosencrantz e Guildestern. Con buona pace di Ecclestone, convinto che "nessuno rimpiangerà Caterham e Marussia perché tutti le conoscono solo per i loro problemi, come Pistorius". Paragone sul quale ogni commento è ormai superfluo.
Meno appeal – Il monocolore argentato che ha tinto la stagione, con le Mercedes arrivate a 11 doppiette stagionali, dominatrici nel Mondiale costruttori in cui hanno toccato 651 punti, battuto il record assoluto della Red Bull (650), è l'altra faccia di una medaglia amara. Di una margherita da sfogliare per capire perché la Formula 1 stia perdendo spettatori dal vivo e in tv. E non basta qualche personaggio inatteso, come il brillante e velocissimo Ricciardo vera rivelazione dell'anno, a restituire l'appeal a uno sport che via via si è fatto più artificioso e insieme sparagnino, che ha snaturato la sua essenza in nome di controlli e di risparmi, di contenimento dei flussi di benzina, di gomme obbligate a degrado programmato, di modifiche “a gettone” per le parti dei motori ibridi. Una formula 1 per ingegneri e tassisti, difficile da capire, che non fa più sognare.
Sprofondo Rosso – E certo non fa sognare la Ferrari di Mattiacci, di un Alonso col broncio che sta in disparte aspettando la McLaren, di un Raikkonen arrivato solo una volta tra i primi 5 (suo peggior rendimento), di Vettel che potrebbe salire sulla Rossa già dai test di Abu Dhabi dopo il GP. Una Ferrari che va piano, e per questo hanno pagato i motoristi. Ma se le indiscrezioni che filtrano fossero vere, il futuro sarebbe ancora peggiore, perché la 666, diabolica sigla che identifica il progetto della Rossa del 2015, sembra ancora più lenta dell'attuale. E le colpe stavolta dovrebbero ricadere su chi è stato invece sempre difeso, James Allison, promosso responsabile dello sviluppo, Fry e Tombazis, i progettisti incapaci di trovare le soluzioni e mettere nelle mani dei piloti vetture competitive per lottare con i migliori.
Troppe differenze – Mai come quest'anno di Mondiali se ne sono corsi almeno due. Quello delle prime 4-5 scuderie, e quello delle altre che hanno monopolizzato le ultime file, che si sono date battaglia per posizioni di retrovia e per qualche isolato punto. E la spaccatura nelle posizioni è lo specchio della spaccatura nelle disponibilità, nei budget, negli investimenti, nei mezzi e nelle risorse a disposizione. Una discrasia che si traduce nella griglia a ranghi ridottissimi di Austin dove per la prima volta dal ritiro della Super Aguri nel 2008 almeno una squadra ha disertato la partenza di un GP per motivi finanziari. È la fine di un modello di business, e sotto attacco c'è la FIA che ha convinto le piccole squadre a entrare nel circus con la promessa dell'introduzione di un budget cap che i grandi team bocceranno. Una promessa mancata che ha generato i “volanti in affitto”, anche solo per mezz'ora di una prima sessione di prove libere, di piloti paganti e sponsorizzati, di giovanissimi come Verstappen promossi anche in nome dei benefici commerciali che sono in grado di portare alle scuderie. Anche se il minorenne Max, che ha partecipato alla prima sessione di libere negli ultimi GP, ha dimostrato di girare su tempi più che competitivi: almeno nel suo caso, dunque, oltre allo sponsor c'è di più.
Equità e futuro – È una stagione contraddittoria, quella che si avvia alla più surreale delle conclusioni. Una stagione in cui tre marchi hanno fornuto i motori a 11 scuderie, in cui sono state introdotte una serie di riforme per contenere costi e consumi, poi si sono scelte le power unit ibride a sei cilindri che costano molto di più dei motori montati fino all'anno scorso. Ma è il primo anno del Neue Kurs, e pensare di tornare indietro, di rinnegare la strada intrapresa, è irrealizzabile. “Da un punto di vista sportivo, i soldi dovrebbero essere divisi equamente e poi lasciare che i team prendano quanti più sponsor riescono”, ha spiegato l'ex presidente della FIA Max Mosley in un'intervista alla BBC. “Un team come la Ferrari avrà sempre più sponsor della Marussia, ma se tutti hanno la stessa base economica, allora partono sullo stesso piano, soprattutto se hai un cost cap con cui limiti quello che ciascun team può spendere”. Possibile, se la torta dei diritti tv viene suddivisa ancora con meccanismi e criteri non collegati ai risultati sportivi, se per una gara imprevedibile non resta che affidarsi alla pioggia o a un errore dei dominatori Hamilton e Rosberg, se gli spettatori continuano a disamorarsi di corse troppo fredde. Possibile, se lo spettacolo deve continuare ad andare avanti anche di fronte alle insostenibili leggerezze che hanno creato le condizioni perché un'uscita di pista si trasformasse nella fatalità che tiene la vita di Jules Bianchi appesa a un filo sempre più sottile. Possibile, se ci si continua a preoccupare di portare il circus in Messico, a Baku, a Las Vegas, a Madrid o dove altro conducano il business e gli sponsor, ma si sacrificano lo spirito, la storia, la natura della regina delle corse.